Morire in primavera

Giorgia Mecca
Ralf Rothmann
Neri Pozza, 205 pp., 16 euro

    E’ appena cominciato il 1945 e in Germania delle bandiere con le svastiche naziste non è rimasto che qualche sfilacciato brandello. La guerra sta per finire, i tedeschi sono stati sconfitti, nessuno però  ha ancora il coraggio di ammetterlo. Con questo romanzo, Ralf Rothmann racconta la storia di Walter Caroli, un “proletario elegante”, reduce troppo giovane di una guerra che gli avrebbe fatto passare per sempre la voglia di sorridere. Walter è un ragazzo di 17 anni che di mestiere fa il mungitore. “Come mai non ti mandano a combattere?”, gli chiede un giorno una signora anziana. Lui risponde che la Wehrmacht non saprebbe cosa farsene di uno come lui, non è mai stato abile con il fucile e poi anche nelle retrovie si lavora per il Reich.  Il suo è un lavoro fondamentale: “Non c’è guerra senza latte”, ripete spesso. Come tutti i tedeschi della  sua età, anche Walter aveva fatto parte della gioventù hitleriana, senza sapere cosa significasse davvero. Durante le cerimonie ufficiali, insieme al suo amico fraterno Fiete Caroli, mungitore come lui,  invece di salutare il Führer gridando “Heil Hitler”, sussurra a voce bassissima “Drei Liter”. Non sono fedeli al nazismo, non sanno neanche bene cosa significhi. Durante l’inverno del 1945 tutto precipita velocemente, vengono mandati a combattere in prima linea anche gli storpi, i menomati, gli invalidi. Walter e Fiete, che ormai erano convinti di essere riusciti a evitare il fronte, si ritrovano da un giorno all’altro con l’uniforme delle SS a combattere in Ungheria: “E dire che lo sanno tutti che questa guerra ormai non serve più a  niente”. La Grande Germania  non è nient’altro che un immenso cimitero militare, ogni giorno più grande: “Distintivi, medaglie e onorificenze luccicano nel fango”. Arriveranno prima i russi o gli americani? Negli ospedali da campo, le infermiere tolgono le bende ai morti per medicare le  ferite dei vivi. “Eccolo qua”, mormora un soldato, “il nostro Reich millenario. Com’è che ha detto il Führer nel discorso di Capodanno? Il destino chiede grandi sacrifici quando ha in serbo grandi ricompense… cos’avrà voluto dire?”. La verità è che non voleva dire niente. Fiete l’ha capito e per questo vorrebbe abbandonare la causa disperata in cui non crede più nessuno. Un giorno prova a fuggire ma viene preso; i disertori devono morire fucilati dai loro stessi compagni, così dice il regolamento. All’amico  che va a salutarlo per l’ultima volta, Fiete risponde:  “Negli ultimi anni mi hanno fucilato e rifucilato, a volte era addirittura un sollievo o una liberazione”. La guerra fa passare la voglia di stare al mondo; fortunatamente, l’indomani sarebbe tutto finito, almeno per lui.  Da quel momento, Walter va avanti per inerzia, vuole solamente uscirne vivo. E poi c’è marzo, la primavera sta per cominciare un’altra volta, i fiori fioriscono anche in guerra, in mezzo alle rovine. I soldati, scarni, imbruttiti e tristi, sono ancora vivi e scrivono alle loro famiglie, organizzano matrimoni a distanza, riescono ancora a immaginare come sarà il futuro: “Alla fine anche l’ora più buia non è nient’altro che buio”. Walter spera che la sua fidanzata non lo abbia dimenticato ed Elizabeth lo aspetta ancora. “Dove te ne sei stato tutto questo tempo?”, lo rimprovera felice di vederlo tornare. A vent’anni non ancora compiuti, Walter è già un sopravvissuto di una guerra persa. Walter non avrebbe mai più sorriso. “La sua era la serietà di chi ha visto troppe miserie, di chi sapeva della vita più di quanto fosse in grado di dire e intuiva che, se anche avesse posseduto le parole giuste, non avrebbero offerto alcun sollievo”. Niente sarebbe stato peggio della guerra, ma la guerra Walter non se la sarebbe dimenticata mai.

     

    MORIRE IN PRIMAVERA
    Ralf Rothmann
    Neri Pozza, 205 pp., 16 euro