Balthazar

Roberto Raja

Lawrence Durrell
Einaudi, 270 pp., 20 euro

    Una rete cosmopolita di personaggi – diplomatici, spie, scrittori, avventurieri, possidenti, femmes sempre un po’ fatale. Una città, una “impossibile città fatta di amore e oscenità” – Alessandria d’Egitto – in cui “il bene e il male, la virtù e il capriccio, l’amore e il delitto si aggiravano oscuramente per gli angoli bui delle strade e delle piazze, dei salotti e dei bordelli”, e a cui quei personaggi e le loro trame sono avviluppati, anche nel ricordo. Una scrittura di raffinata esattezza – resa con efficacia dalla traduzione di Giuseppe Sertoli, autore pure della bella e utile prefazione – perfetta per definire certi personaggi, solo un po’ meno per le cose (questo, per esempio, è Toto de Brunel: un “faccino vizzo di strega, gli occhioni scuri da bambino, il pizzetto e lo strano sorriso liberty. Era il cocco delle vecchie signore della buona società, troppo orgogliose per pagarsi il gigolo”; e questo un vaporetto, che “accostò bruscamente descrivendo un arco di centocinquanta gradi nella baia, dove rimase immobile nel bozzolo lanoso delle luci di bordo”). Scrittura e stile sono il correlativo mimetico di quel contesto ambientale, della città così al centro della narrazione, con i suoi profumi e colori, i suoi ardori e il suo torbido, la promiscuità tra culture nel perdurante clima coloniale (anche se è un Egitto che ha già ottenuto l’indipendenza). “Balthazar”, pubblicato da Lawrence Durrell nel 1958, è la seconda tappa del più ampio “Quartetto di Alessandria” che lo scrittore e poeta britannico avviò l’anno prima con “Justine” e proseguì con “Mountolive” (1958) e “Clea” (1960). Un plot in progress, non perché l’intreccio proceda in modo lineare, acquisendo nuovi elementi, alzando o ramificando la propria impalcatura, ma perché in un gioco di punti di vista diversi presenta facce sempre nuove della stessa storia. “Uno specchio vede l’uomo bello e lo ama; un altro specchio lo vede brutto e lo odia. E tuttavia, si tratta sempre del medesimo individuo”, suona il primo esergo del romanzo, tratto da un’altra “Justine”, quella sadiana. Darley, il personaggio che narra in prima persona la vicenda – e che riecheggia nel nome il Durrell autore – deve dunque confrontare il proprio racconto, la propria esperienza, con il commentario dell’amico Balthazar, il quale ne confuta alcuni nodi sensibili. E per un altro gioco, questa volta metaletterario, la versione di Darley non è altro che il romanzo precedente, centrato sulla sua ossessiva, e clandestina, storia d’amore con Justine, sposata senza passione con il ricco banchiere copto Nessim. Ma ora Balthazar svela appunto la fragilità di quella costruzione di un amore: in realtà, Justine si era servita della relazione con Darley per nascondere al marito la sua passione ricambiata per un terzo uomo, lo scrittore Pursewarden. Altri svelamenti, altre correzioni – su parole, sentimenti e comportamenti fraintesi, persino su un delitto – accresceranno la disillusione di Darley. Almeno fino alla prossima versione. Preso a sé, senza la bussola del narrato precedente, “Balthazar” può disorientare sulle prime il lettore, come un bel motore che giri in folle, come una ripresa focalizzata sui dettagli, una storia dai contorni ancora incerti. Poi, forse proprio quando s’incontrano le due tendenze, i due piani del “Quartetto” sottolineati  dal curatore, e cioè il romanzo d’élite che guarda agli sperimentalismi d’inizio secolo e il romanzo popolare “trama e scenario”, lì tutti i conti tornano: i personaggi e gli ambienti assumono spessore, l’audacia stilistica si ritrova corroborata dalla tensione narrativa. Succede al massimo grado nelle pagine che descrivono il ritorno di Nessim nella casa di famiglia, per parlare del proprio matrimonio con Justine alla madre e al fratello, entrambi feriti nel corpo e nell’anima. E in quelle del ballo mascherato, verso la fine: tutti in domino, irriconoscibili, libertini e assassini.

     

    Lawrence Durrell
    BALTHAZAR
    Einaudi, 270 pp., 20 euro