Nove vite

Giorgia Mecca
Bernice Rubens
Elliot, 227 pp., 17,50 euro

    Uno dei segreti di un matrimonio che funzioni è quello di sapere rimanere al proprio posto. Verine Dorricks lo conosce, per questo motivo ha sempre evitato di fare domande al proprio marito: i segreti devono rimanere tali, la verità non fa altro che generare confusione. Verine ama molto Donald, anche perché non ha mai avuto niente di meglio da fare. Comincia da questo presupposto il libro di Bernice Rubens, la scrittrice che nel 1970 ha vinto il Booker Prize, il più prestigioso premio britannico, con il romanzo “The elected member”. Per regolare un vecchio conto in sospeso che non ha ancora smesso di tormentarlo, Donald Dorricks ha deciso di diventare un assassino. La sua missione è quella di uccidere nove psicoterapeuti. Che siano uomini, donne, giovani o vecchi non gli interessa affatto, sono tutti venditori di “psicochiacchiere”, nessuno tra di  loro è innocente. Basta una corda di chitarra intorno al collo e un po’ di forza, il minimo indispensabile. Il dottor Winston, la prima vittima, aveva un’aria così gentile e simpatica… non gli sarebbe servita a niente però. Uccidere un uomo non è per niente complicato, anzi, a volte è un piacere vero e proprio. La morte lo eccita e poi Donald ha una questione personale da risolvere, quando sarà il momento. L’agente Wilkins, suo malgrado, si trova costretto a condurre le indagini. E’ disperato: omicidi su omicidi e nemmeno uno straccio di impronta né un indizio. Niente di niente. Un giorno, preso dalla frustrazione, va a consultare una veggente e la sua sfera di cristallo. “Speriamo che uccida ancora”, si ritrova a pensare ogni tanto.  Donald non prova il minimo rimorso, la sua è una missione sacrosanta e, anzi, è segretamente convinto che Dio stia dalla sua parte. Aggrappati alle loro teorie sull’infanzia difficile, Freud e Jung, ricordi che nessuno ricorda e sindromi inesistenti, gli strizzacervelli hanno rovinato la vita di chissà quante persone. “Sono innocente, tu lo sai vero?”, chiede Donald a Verine ogni volta che lei lo va a trovare in carcere. “Ma certo”, risponde la donna mentre gli tiene la mano e non vede l’ora che suoni la campanella per poter finalmente andarsene. Verine non fa altro che inventarsi tremende disgrazie sui suoi vicini di casa. Spera che i racconti delle tragedie degli altri riescano a confortare il marito, così come confortano anche lei, “che Dio la perdoni”. Verine crede ciecamente a Donald, anche perché non può fare altrimenti. A volte, però, preferirebbe essere vedova, che Dio la perdoni anche questa volta. Sul treno di ritorno dalla prigione la donna siede sempre accanto alla signora Cox, anche lei sposata con un assassino: “Mio marito però è innocente”. Certo, non dicono tutti la stessa cosa? Ogni tanto giurano a loro stesse che quella è stata l’ultima volta in carcere. La verità, però, è che quelle visite settimanali  sono l’unica cosa che rimane del passato. Anche loro stanno scontando una pena, una condanna a vita alla pietà, “una pietà così pericolosamente vicina al risentimento e alla rabbia da sfociare in una paralizzante confusione”.  Meglio non pensarci. I figli di Verine, una volta letta la sentenza all’ergastolo, hanno cambiato casa e cognome, non vogliono più avere niente a che fare con quel mostro del loro padre. Ma perché ha ucciso tutte quelle persone? A Verine la verità non importa, e quando tutto diventa troppo complicato, la donna preferisce guardare da un’altra parte oppure accendere l’aspirapolvere perché è convinta, proprio come tutti, che sforzandosi di non dare ascolto alla realtà, la realtà si dissolva. “Finché Dio sarà il mio giudice, io sono innocente”, scriveva Donald sul suo diario. Sarebbe stata la storia stessa ad assolverlo. E anche se la storia ci mette sempre tanto tempo, Verine avrebbe aspettato per tutta la vita l’assoluzione del marito. E’ anche questo il segreto del matrimonio.


    NOVE VITE
    Bernice Rubens
    Elliot, 227 pp., 17,50 euro