La lettera a Hitler

Redazione
Gabriele Nissim
Mondadori, 304 pp., 20 euro

    Figlio di un severissimo padre prussiano che lo educava a frustate e di una madre femminista e pacifista, Armin Theophil Wegner raccontava che a nove anni – leggendo in un giornale notizie relative ai massacri di armeni del 1895 – era rimasto impressionato dal racconto di quelle inaudite crudeltà su un popolo il cui nome assomigliava tanto al suo. Poco dopo, a scuola, era divenuto l’unico amico di un ragazzo ebreo emarginato dall’imperante antisemitismo. Durante la Prima guerra mondiale, fu spedito come paramedico nel Corpo sanitario tedesco distaccato presso la Sesta armata ottomana. Decorato con la Croce di ferro e promosso sottotenente, Armin verrà poi degradato, punito e rimandato in Germania. Il motivo? Una volta scoperto il genocidio degli armeni, si prodigò nell’assistenza delle vittime, documentando gli eventi con centinaia di foto. Diversi storici armeni contemporanei hanno rimproverato all’autore di quella denuncia una certa ambiguità, visto che in precedenza Wegner aveva appoggiato la rivoluzione dei Giovani turchi autori del genocidio e successivamente, di ritorno in Germania, aveva lavorato per la propaganda tedesca. Ma lui, il 23 febbraio 1919, avrebbe scritto una lettera al presidente americano Woodrow Wilson per chiedere una soluzione alla questione armena. Divenuto ormai seguace della non violenza integrale di Gandhi e Tolstoj e scrittore abbastanza noto, negli anni Venti simpatizzerà per il comunismo. Dopo aver viaggiato in Unione sovietica nel 1928, però, chiederà a Gorkij ragione della “degenerazione” della Rivoluzione, domandandogli altresì la liberazione di novantaquattro detenuti politici. Nel 1921 aveva intanto sposato la scrittrice ebrea Lola Landau.

     

    Con l’ascesa al potere di Adolf Hitler, Armin Theophil Wegner prenderà la sua iniziativa più clamorosa: una lettera di protesta scritta e inviata direttamente al Führer. Impresa che gli costerà molto: sarà arrestato e torturato. Per tornare in libertà dovrà piegarsi al regime, e anche il suo matrimonio andrà a rotoli. Lola va in Palestina, Armin si rifugia a Positano. L’incalzare degli eventi, però, lo perseguita: la sua nuova compagna è mezza ebrea, cosicché quando in Italia entrano in vigore le Leggi razziali, deciderà di scrivere anche a Mussolini. Tormentato denunciatore dei genocidi e totalitarismi della prima metà del Ventesimo secolo, in Italia Wegner resterà dopo la guerra, fino alla morte avvenuta nel 1978. La sua storia è raccontata da Gabriele Nissim a partire dal punto di vista di Johanna, una studentessa tedesca che nel 1965 diventerà la sua segretaria.

     

    LA LETTERA A HITLER
    Gabriele Nissim
    Mondadori, 304 pp., 20 euro