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lettere al direttore

Le politiche moderate sul clima hanno un senso, Net Zero forse no

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - C’era un saltatore in alto che provava e riprovava a saltare i due metri. Dopo molti tentativi infruttuosi disse a se stesso: “Non  ce la faccio. Proviamo a 2,20”. Se si fissano obiettivi irrealizzabili il fallimento è sicuro. Ed è quello che alcuni vorrebbero anche per la Cop28. Ridurre le emissioni mondiali del 50 per cento entro il 2030, per esempio, quando da 50 anni continuano ad aumentare anno su anno. O proclamare il “phase out” dei combustibili fossili, quando intere economie dipendono  da essi sia per la produzione sia per il consumo. Gli Stati Uniti sono oggi il primo produttore di petrolio e gas  e si vede anche negli incredibili risultati di crescita del pil, la Russia è il secondo e da essi dipende per il 30 per cento del pil. Figuriamoci se ci si può rinunciare. Ma diversi  stati africani hanno quote importanti di ricchezza derivanti dall’esportazione di petrolio. Oggi i fossili coprono l’80 per cento di tutta l’energia consumata nel mondo.  Ma evidentemente un certo ambientalismo ha sposato il masochismo programmatico non rendendosi conto che in questo modo si crea solo frustrazione e si costruiscono  i fallimenti. E anziché aprirsi a nuove strade, quelle basate sull’innovazione in ogni campo, rimangono ancorati all’unica ricetta che  conoscono. Rinnovabili e basta. Il ministro dell’Energia indiano ieri ha annunciato la costruzione di un centinaio di nuove centrali a carbone. “Perché abbiamo bisogno di energia a basso costo 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno”. Forse si raggiungerà l’accordo per un fondo a sostegno delle economie vulnerabili. Noccioline a fronte di investimenti necessari  stimati in migliaia di miliardi ogni anno anche solo per l’adeguamento delle reti elettriche.  Vedremo se prevarrà il realismo o se anche la Cop28 sarà un capitolo del romanzo sul mondo come lo vorrei. Anzi come mi piacerebbe. Peccato non esista. 
Chicco Testa

Il Wall Street Journal di ieri riportava due studi interessanti su questo tema realizzati uno da Richard Tol, un importante economista specializzato sui temi climatici, e un altro dal “Climate Change Economics”, che ha portato avanti un lavoro sottoposto a revisione da parte degli economisti del Mit. Entrambi gli studi convergono su un tema: mantenere pienamente la promessa di Parigi di abbassare di 1,5 gradi la temperatura per arrivare a “Net Zero” nel 2050 avrà un costo equivalente a circa il 4,5 per cento del pil globale annuo e del 5,5 per cento entro il 2100. In altre parole, scrive il Wsj, ogni dollaro speso eviterà meno di 17 centesimi di danni climatici. Sintesi: le politiche moderate sul clima hanno un senso, il Net Zero forse no.

 


 

Al direttore - Di Henry Kissinger vale la pena mettere in risalto una dimensione a cui poco o per nulla si presta attenzione: la valenza pedagogico-educativa della sua visione-azione geopolitica. Per farla breve, da ogni sua iniziativa e intervento ognuno di noi poteva cogliere nitidamente: cosa fosse la geopolitica in quanto concetto, nonché le sue componenti strutturali e i soggetti fondamentali e umani che la costituiscono; la capacità di distinguere, pur nei loro rapporti, strategia, tattica, relazioni internazionali, politica estera e di difesa. Certo, anche Henry Kissinger ha fatto i suoi errori ma è intorno a un asse preciso che ruotavano il suo pensiero e l’azione pedagogico-educativa per chi ha avuto la possibilità, l’interesse la voglia di leggerlo, ascoltarlo, seguirlo: quello di una conoscenza accurata della storia degli attori geopolitici che si muovono nel mondo, il possesso della profondità storica degli eventi presenti, quale premessa della scelta di un attore geopolitico di perseguire una politica di potenza. Anche e soprattutto di questo, credo, dobbiamo essergli grati.  
Alberto Bianchi

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