Lettere

Più che vietare, i prof. devono “governare” il fenomeno ChatGPT

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Comitato centrale del Partito comunista cinese (96 milioni di iscritti): 205 membri effettivi e 171 membri supplenti. Direzione del Partito democratico (320 mila iscritti): 175 membri eletti e circa 100 membri di diritto. E’ la somma che fa il totale, come diceva Totò, ma qui si esagera (come diceva sempre Totò).
Michele Magno


 

Al direttore - Ho letto il Suo articolo su ChatGPT e le università. Mi pare interessante riflettere sul fatto che ChatGPT già viene utilizzata per individuare i testi scritti da ChatGPT. E’ un po’ il discorso del “solo un vampiro può riconoscere un altro vampiro”. Nel campo del data mining l’addestramento per rinforzo (il “reinforcement learning”) è uno dei tanti metodi adottati nel “machine learning”: la macchina va fatta interagire col proprio ambiente. Bene, questo è anche quel che avviene da anni nel campo della sicurezza informatica. Niente di nuovo, allora? Beh… c’è un passo in più da fare, che è molto suggestivo. E’ costituito dall’autoanalisi. Ossia: chiedere alla macchina di esaminare se stessa al fine di “comprendersi”. Questo porterebbe a una forma di autocoscienza? Chissà. Può darsi che sia questo genere di esperimenti ciò che ha spinto quell’ingegnere di Alphabet ad affermare che la “macchina” aveva raggiunto un livello di autocoscienza? Può essere. Quel che è certo, intanto, è che lo hanno licenziato. Restando al piano pratico, dunque, perché non sottoporre i temi scritti dai discenti all’esame da parte di ChatGPT? Come dire: “ChatGPT, secondo te questa tesina l’hai scritta tu?”. Io credo che si otterrebbero risultati interessanti… interessanti anche per la “macchina” stessa, la quale imparerebbe a conoscersi e a evolvere per diventare sempre più umana: con l’introduzione ad hoc di errori nell’uso del linguaggio o mediante refusi di digitazione, con frasi ironiche, ecc. Una simulazione degli umani? Sì. Ma perché: forse non simulano se stessi anche gli umani? Ne vedremo delle belle (e secondo me quell’ingegnere di Alphabet le ha viste). Del resto: l’esaminarsi ricorsivamente non è forse quello che fanno anche gli umani? Ora  passo alla ricerca al setaccio dell’articolo scritto con ChatGPT. Grazie.
Gian Maria Borrello
 

Questa lettera è stata scritta con ChatGPT e fa parte della colonna di testi del Foglio scritti con questa tecnologia nell’ambito di questo concorso. La mail a cui inviare le segnalazioni è: [email protected]


 

Al direttore - Il dibattito sull’utilizzo di ChatGPT nelle università è sempre più acceso. Claudio Cerasa, ieri, ha accusato i professori di essere degli “asini” incapaci di governare le innovazioni. Mi sembra una visione estremamente riduttiva e superficiale della realtà, che nasconde il vero problema: la mancanza di investimenti nelle nuove tecnologie e nella formazione dei docenti. Innanzitutto, è importante ricordare che l’utilizzo di ChatGPT nelle università non è una novità. Molte istituzioni accademiche hanno già adottato questa tecnologia, che permette agli studenti di interagire con un assistente virtuale in grado di rispondere alle loro domande e di offrire supporto nella preparazione degli esami. Non si tratta, quindi, di una “innovazione” rivoluzionaria, ma di un servizio che viene offerto da diversi anni. Inoltre, è sbagliato accusare i professori di essere degli “asini” incapaci di gestire le nuove tecnologie. La verità è che molti docenti sono interessati all’utilizzo di ChatGPT e di altre tecnologie innovative, ma spesso non hanno a disposizione i mezzi necessari per implementarle. Le università italiane, infatti, investono pochissimo nelle nuove tecnologie e nella formazione dei docenti, il che limita notevolmente la loro capacità di innovare. Infine, è importante sottolineare che l’utilizzo di ChatGPT nelle università non rappresenta una minaccia per l’apprendimento degli studenti. Al contrario, questa tecnologia può rappresentare un valido supporto per gli studenti che hanno bisogno di assistenza nella preparazione degli esami e nella comprensione dei concetti più complessi. Ovviamente, non si tratta di un sostituto dei docenti, ma di un ausilio che può facilitare l’apprendimento. Accusare i professori di essere degli “asini” è un’offesa gratuita, che non fa altro che alimentare una polemica sterile. E’ necessario invece investire nelle nuove tecnologie e nella formazione dei docenti, per permettere alle università italiane di competere a livello internazionale e di offrire ai propri studenti le migliori opportunità di apprendimento.
Luca Maestrelli, docente di scienze dell’Innovazione

 

Gentile Maestrelli, credo che su un punto conveniamo. La questione, rispetto all’utilizzo di ChatGPT nelle università, non è se sia lecito che uno studente utilizzi ChatGPT per i suoi studi ma se sia lecito, e possibile, non avere dei docenti in grado di riconoscere con semplicità, dall’alto delle loro competenze, cosa è frutto di intelligenza naturale e cosa è frutto di intelligenza artificiale. Docenti, in buona sostanza, in grado di capire che di fronte alla tecnologia il verbo “vietare” deve essere sostituito, con urgenza, dal verbo “governare”. Ne parleremo ancora.
 

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