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Il bisogno di una marcia "si vax" e la gogna contro Varriale

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - C’è troppo buonismo in giro sulla questione del virus. Nelle comunità, sui luoghi di lavoro, perfino nelle scuole manca il controllo sociale sul rispetto delle regole e l’isolamento dei No vax. Sarebbe l’ora forse di una marcia della maggioranza “vax” finora troppo silenziosa. Certo bisogna tenere conto del rischio implicito di una spaccatura ad alto tasso di criticità nella popolazione. Ma c’è anche la possibilità di far prevalere nella piazza e non nelle articolazioni politico-giornalistiche dell’establishment la voce della ragione.
Marco Cecchini


 

Al direttore - Neanche il tempo di festeggiare per il recepimento della direttiva sulla presunzione di non colpevolezza (su cui a inizio mese è stato approvato un decreto legislativo) che torna – puntuale – il nuovo caso di processo mediatico. Vittima, questa volta, il giornalista sportivo Enrico Varriale che – si apprende da alcuni giornali – andrà a breve a processo con il rito immediato (non passando, dunque, “neanche per l’udienza preliminare”) con le accuse di stalking e lesioni nei confronti della sua ex compagna. Più che un caso di processo mediatico questo sembrerebbe, in realtà, un caso (ennesimo) di vera e propria “condanna mediatica”, dal momento che alcuni giornali hanno già emesso sentenza (di condanna, s’intende). In questo modo esordisce, infatti, l’articolo che Repubblica ha dedicato alla notizia: Varriale “ha (e non “avrebbe”, “è accusato di” o “dovrà difendersi dalla accusa di”, nda) molestato, minacciato e picchiato la sua compagna”, salvo poi specificare – come ultima frase di chiusura dell’articolo – che “adesso, nel processo che inizierà il prossimo gennaio, avrà la possibilità di raccontare la sua verità”. La notizia – amplificata dalla rivalità sportiva – ha fatto in poco tempo il giro del web e ora sono innumerevoli gli articoli dedicati alla vicenda. Sappiamo che il recente decreto sul “rafforzamento” della presunzione di innocenza non interviene direttamente sull’operato del giornalista – focalizzandosi, piuttosto, sul come e quando l’autorità giudiziaria potrà rilasciare informazioni sullo stato dei procedimenti (ad esempio, attraverso delle conferenze stampa) – ma sappiamo anche che senza una puntuale regolamentazione (o una autoregolamentazione) dell’attività giornalistica, le norme appena introdotte rischiano di rimanere lettera morta (al netto di evitare al nostro paese il rischio di una procedura europea di infrazione). Il principio della presunzione di non colpevolezza – a cui gli stessi giornali che oggi titolano in questo modo hanno, nei mesi scorsi, dedicato numerosi articoli – non vive, infatti, negli articoli e nei commi di un decreto legislativo (bello da leggere, ma poco efficace se non attuato), ma nel modo in cui ogni giorno chiunque operi nel campo della giustizia (avvocato, magistrato o giornalista) decida di approcciare quello che è un principio ben scolpito nella nostra Costituzione (art. 27). Ma questa è un’altra storia.
Guido Stampanoni Bassi, direttore di Giurisprudenza penale

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