Il virus “buono” e la benedetta avidità delle case farmaceutiche

Le lettere al direttore del 25 marzo 2021

Al direttore - Vaffascinante avventura.
Giuseppe De Filippi

 
Al direttore - Comunque andrà sarà un insuccesso, si potrebbe chiosare con un eccesso, lo riconosco, di piglio polemico. Certo l’affermazione può essere tacciata di disfattismo, ma non è inadatta alla situazione. Non solo a quella italiana, ma particolarmente a quella italiana, dove si continua a morire con gli stessi “vecchi” ritmi (ma, tranquilli, Speranza si è già pronunciato: i colori resteranno), i risultati sono secondo gli ultimi Report settimanali dell’Oms i peggiori d’Europa se non del mondo, e ormai non si sa più neppure qual è, se ce n’è uno o dieci, il criterio di vaccinazione. Dobbiamo prenotarci o verremo chiamati? Vattelapesca. Se e quando riusciremo a iniettare due dosi di vaccino a tutti gli italiani l’immunità della popolazione acquisita col vaccino avrà preso a svaporare in proporzioni crescenti della stessa popolazione e per allora dovremo solo augurarci che il coronavirus non sia più quello di una volta (oggi). In caso contrario, potremmo dover ricominciare daccapo. Qualcuno ha osservato che i vaccini non rappresentano il “core business” dell’industria farmaceutica. Vero, anche se fino a un certo punto, ma sono un traino formidabile. Grazie ad essi non si fa che parlare di salute e malattia ininterrottamente da un giorno all’altro. Ma la pretesa onusiana di iniettare due dosi di vaccino a otto miliardi di persone si è già smarrita per strada e tutti in cuor loro sanno che tale è e tale resta. Anche perché i virus sono mutevoli e figurarsi se aspettano i tempi di una pressoché inarrivabile vaccinazione universale. Dovremo aspettare ancora mesi e mesi, con tutto il corredo di contagiati e soprattutto di morti. Poi si comincerà, credo e spero, a capire che non può essere passando anni impiccati a vaccini dall’esito incerto e dai tempi storici di somministrazione che il mondo del domani riparerà dalle invasioni virali. Il Sars-CoV-2 ha impedito ai virus influenzali anche soltanto di affacciarsi alle porte d’Europa e America. Proprio là dove il coronavirus ha fatto strame i virus influenzali hanno trovato la porta letteralmente sbarrata, lo spazio eco-biologico essendo già stato occupato dalla sua invadente presenza. I virus non si spartiscono lo spazio, se lo contendono. Chi prima arriva o è più forte prima alloggia. Ecco la lezione di cui fare tesoro. Il perché è presto detto: i virus possono essere costruiti in laboratorio. Potremmo dunque imparare a costruire virus artificiali buoni capaci di sbarrare la strada – come ha fatto Sars-CoV-2 con i virus influenzali – o almeno a ostacolare la diffusione di virus naturali cattivi. E’ questa una linea di ricerca possibile e auspicabile. Che i due fenomeni di gran lunga più decisivi messi in mostra da questa pandemia – la sua occidentalizzazione spinta all’eccesso, perfino paradossale, e la sparizione totale, assoluta dei virus influenzali – siano stati del tutto ignorati non lascia troppe illusioni sulla capacità della scienza, dell’informazione e della politica di riuscire a raccogliere la sfida che i tempi nuovi lanceranno al mondo che ci aspetta.
Roberto Volpi


Chi gliel’ha detto che il virus influenzale è sparito per competizione? Le prove dicono che è sparito semplicemente perché portiamo le mascherine e perché abbiamo adottato dei comportamenti che limitano le infezioni respiratorie. E se il Covid-19 continua a esserci significa che non può essere considerato, aridaje, come uno dei tanti virus influenzali tradizionali. Se invece sta pensando a un virus che possa essere competitivo senza che sia replicabile uno c’è già. Si chiama adenovirus ed è il virus che sta nei vaccini e che serve a stimolare la creazione dei nostri anticorpi. Quanto al suo velato riferimento all’avidità delle case farmaceutiche, qui si sta su questo punto con Boris Johnson, che durante una riunione su Zoom con i compagni di partito, due giorni fa, si è fatto scappare una verità difficile da negare: lo spirito capitalistico e il desiderio di profitto delle case farmaceutiche, e dunque anche la loro avidità, sono alla base del successo dei vaccini. E i paesi che hanno dimostrato di usare meglio i vaccini finora sono quelli che hanno saputo maneggiare il rischio meglio di altri, da bravi capitalisti.

 

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