Cosa potrebbe inventarsi il Pd a Roma per sabotare Calenda

Le lettere al direttore del 20 ottobre 2020

    Al direttore - Davigo sostituito dal primo dei non eletti. Un classico casi di non eletti che non sono ancora stati eletti.
    Giuseppe De Filippi


     

    Al direttore - Su Roma si addensa la nuvolaglia dello smarrimento ideale e politico dei democratici. Noi abbiamo la responsabilità di vincere la tentazione dell’autosufficienza. Il Pd è nato con questo spirito: unire e convincere, mettere insieme e comprendere, avvicinare le posizioni senza annullare le differenze, con l’animo sgombro da pretestuose supremazie. Perciò l’idea di restringere il campo, mettere paletti, organizzare pregiudiziali, rappresenta un esercizio improvvido che snatura o corrompe l’impianto morale, prima che politico, del “partito unico” dei riformisti. Alcuni sembrano dimenticare le ragioni di questa  premessa. Mi domando se la fedeltà al nostro progetto costitutivo trovi conforto in alcune stizzite reazioni alla candidatura di Calenda. Quando si degenera nel polemicismo che trasuda rancore personale, la politica subisce una drastica mortificazione. Lo dico  ad amici certamente degni, per parte mia, di tutta la stima che essi meritano. Piaccia o non piaccia, il leader di Azione ha rotto lo schema di una mobilitazione a colpi di logore parole d’ordine. Credo non abbia torto a segnalare l’incongruenza di una proposta che sorvoli sulle conseguenze del fallimento della Raggi: basta la sua uscita di scena a legittimare, chissà come, un’alleanza con il M5s? E’ chiaro che la città avverte l’urgenza di una risposta diversa. Se non si definisce, anche con il nostro contributo essenziale, l’involuzione è inevitabile. Occorre prontamente concludere che oggi, nelle circostanze identificabili nel concreto, Calenda può rappresentare la carta vincente per Roma. Dobbiamo intenderci bene: per Roma, appunto, prima che vincente per noi. In un tempo che esige l’abbandono dell’ideologismo, non ha  senso ingabbiare una candidatura, in particolare quella di cui stiamo discutendo, nel disegno angusto di burocrati del potere. Siamo di fronte a una opportunità, forse addirittura storica, che solo la logica delle piccole convenienze può scarabocchiare a fini impropri, ovvero per ragioni di tutela dei propri spazi consolidati. La fatica, in questo caso, non risparmia nessuno: si tratta, in effetti, della fatica del cambiamento. Qual è il compito dei riformisti? Penso che non debba essere, intanto, quello del traccheggiamento nel gioco di sponda, con il rinvio sine die delle decisioni da prendere. A Calenda bisogna offrire un terreno di collaborazione, essendo indubbiamente un ottimo candidato. Oltre il brusio di fondo, spetta a Zingaretti, per le sue molteplici responsabilità, assumere la decisione finale.  Certo, Calenda andrebbe aiutato a non confidare eccessivamente sul suo appeal social-liberale in un contesto che vede la sensibilità popolare reagire, come dimostra l’effervescenza pericolosa del sovranismo, al senso di fallimento dei tradizionali progetti dei socialisti e dei liberali. Ma questo possiamo e dobbiamo dirlo solo quando un segnale di sblocco intervenga finalmente a consacrare l’impegno del Partito democratico accanto e insieme a Calenda.

    Giuseppe Fioroni

     

     Un Pd che considera la candidatura di Calenda quella giusta con cui riconquistare Roma è un Pd che cerca un modo per unirsi civilmente con Calenda. Un Pd che considera la candidatura di Calenda solo un intralcio  utilizzerà la candidatura di Calenda per provare a chiudere un accordo con il M5s per fare ritirare Raggi e presentare insieme con il M5s un proprio candidato a Roma. E non è fantapolitica.