(foto Ansa)

La didattica del nostro talento. Lettera volantino per le scuole d'Italia

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Niente abbracci, fa pure un po’ freddo, abbiamo esagerato con l’anti papeete?

Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Renzi non ci rende la vita facile sulla legge elettorale, lamentano quelli che lo trollarono per un anno e mezzo sull’Italicum. Senza legge elettorale la nostra riforma della Costituzione è pericolosa, dicono quelli del combinato disposto. Se non fosse deprimente, sai le risate?

Guido Vitiello 

 

Dalla deriva autoritaria alla deriva cialtronara.


 

Al direttore - Ma quel gran bel pezzo di Jason Horowitz sull’Italia, ora non mi ricordo, è uscito sul New York Times o sull’Inkiesta? Così, per sapere. Cordiali saluti.

Giulio Parma


 

Al direttore - Rispondo al tuo appello per un’Italia “responsabile e resiliente” ricordando l’allocuzione di Horatio Nelson prima di Trafalgar: “L’Inghilterra si aspetta, signori, che ciascuno di voi faccia il suo dovere”. Alle Scuderie del Quirinale abbiamo avuto a mente queste parole, quando abbiamo lavorato per salvare in toto la grande mostra su Raffaello, che qualcuno aveva considerato impossibile da riaprire dopo il lockdown. E’ una bellissima storia non solo italiana, ma anche di profonda solidarietà internazionale nella misura in cui tutti i prestiti sono stati confermati. Ed è una bellissima storia di abnegazione e passione di tutto il personale, chiamato a rispondere a sollecitazioni inedite e ad aperture prolungate per consentire la più vasta fruizione della mostra in condizioni di sicurezza. Mi pare, quello della mostra di Raffaello, un altro esempio di una Italia responsabile e resiliente (o meglio ancora cocciuta?). Un caro saluto.

Mario de Simoni, presidente amministratore delegato di Ales-Scuderie del Quirinale


 

Al direttore - Può sembrare provocatorio. Premetto che parlo da insegnante di liceo. So che questa lancia spezzata a favore della didattica a distanza e di ciò che ha significato non può riguardare la scuola primaria, tanto meno la materna. Non si dovrebbe mai parlare di scuola in generale: ogni ordine ha le sue peculiarità, ogni fase di crescita le sue esigenze. E’ vero. Durante il periodo di didattica a distanza è mancato il contatto “fisico” degli insegnanti con la classe, è mancata la funzione sociale della scuola come comunità d’incontro tra coetanei, è mancata la vivacità spontanea dell’ora di lezione e, per quanto riguarda l’esame di maturità – come ha dichiarato nel suo video commovente lo studente Matteo Duchini – è mancato il condividere le emozioni col compagno di banco, il rubarsi le penne, è mancata l’adrenalina degli esami scritti, i banchi divisi da cui mandarsi occhiate, è mancata la paura di fronte alla seconda prova, i cori di Venditti e anche la pizzata o i riti collettivi sulla spiaggia 100 giorni prima dell’esame.

 

E io però vorrei allora aggiungere: sono mancate le interrogazioni-interrogatori in piedi alla lavagna col resto della classe che fa finta seguire, le verifiche scritte con i contenuti da mandare a memoria, la prossemica classica docente-discente, per cui chi è nel primo banco volta le spalle ai suoi pari per privilegiare l’ascolto diretto delle “spiegazioni” frontali del prof, da riportare rigorosamente negli appunti sul quaderno.

 

Tutti i docenti che all’indomani dell’ordinanza della chiusura delle scuole si sono subito attivati per appropriarsi dei mezzi che permettessero loro di proseguire i lavori che stavano svolgendo, hanno dovuto confrontarsi con una nuova forma di comunicazione. Prima domanda: mostrarsi sullo sfondo casalingo, o no? Appellarsi alla privacy (come – detto per inciso – sanno fare magistralmente e astutamente i colleghi tedeschi, per i quali la didattica a distanza è stata un pietoso fallimento) o chiedere alle alunne e agli alunni di attivare non solo l’audio ma anche la videocamera? Ed ecco la scoperta di funzioni digitali che ti permettevano di vederle/i tutte/i, di apprezzare la loro disponibilità e spirito di collaborazione nel mostrarsi nell’intimità della loro camera/cucina, sentendo ogni tanto il cane che abbaia, la sorella che fa lezione online nell’altra stanza o l’intercalare sonoro dello scarico del wc – tutto molto umano, ma non troppo umano. Giovani che non erano solo corpi su un banco e menti da riempire, bensì persone che vivevano immerse in uno scenario quotidiano e che stavano condividendo la loro competenza di nativi digitali. La didattica a distanza è stata l’occasione, spero non vana, di riflettere su alcuni quesiti. Come tener viva l’attenzione attraverso un monitor? Come attivare la responsabilità del singolo? Come comportarsi nei confronti della prassi invalsa dei copia-incolla da Wikipedia? Come fare verifiche scritte che fossero un minimo veritiere e non prodotto di chat collettive? Ed ecco che la nuova forma di comunicazione ha acuito l’ingegno dirigendolo verso modalità didattiche che non vivevano di rendita, che non si motivavano con “è sempre stato così” ma aprivano al nuovo, alle possibilità offerte dal digitale, a uno scambio che fosse ponderato, sensato, efficace e tenesse conto delle competenze di cittadinanza, ovvero dello sviluppo delle capacità critiche, dell’iniziativa individuale, dell’ascolto reciproco.

 

Si è capito che le verifiche scritte classiche effettuate nel rigore dello spazio fisico, non potevano, svolte online, essere facilmente valutabili e ci siamo orientati a chiedere progetti personali (cfr. didattica del nord Europa) su temi d’interesse personale che richiedessero la capacità di individuare e strutturare i contenuti più che riportarli, la capacità di saper presentare più che saper ripetere. Si è capito che adesso l’assiduità nella partecipazione, un atteggiamento attivo e propositivo, il rispetto dei tempi di consegna dei lavori sulle piattaforme digitali dovevano avere un peso importante nei criteri di valutazione (cfr. competenze di cittadinanza, di cui tutti parlano ma pochi si curano), e che dunque “l’acquisizione dei contenuti” non era l’unico metro di misura a dettar legge. Si è capito che potevi inviare sulle piattaforme o tramite registro elettronico materiali su cui lavorare in modo autonomo e su cui poi riferire o dibattere nei video-incontri (cfr. metodologia flipped-classroom). Si è capito che era comodo mostrare velocemente, tramite la condivisione dello schermo, materiali visivi che fossero stimolo al dibattito o approfondimento, oppure far sentire, senza i problemi tecnici dovuti a dispositivi spesso malfunzionanti di cui le aule sono dotate, file audio, su cui poi far lavorare singoli gruppi grazie alla modalità di moltiplicare la funzione meet (cfr. metodologia team work). Si è capito che chi aveva problemi di connessione doveva essere aiutato/adottato dai compagni che fungevano da social-bridge (cfr. metodologia peer education). In sintesi: l’inaspettata contingenza, l’improvvisa necessità di attrezzarsi per attraversare un territorio sconosciuto ci ha fatto compiere quel passo che tanti corsi di aggiornamento, tanti suggerimenti del legislatore, tanti teorici obiettivi stilati nei rapporti di autovalutazione delle scuole non sono stati capaci di avviare. Spero che la mia categoria non abbia operato nello spirito le roi est mort, vive le roi, tutto cambi perché tutto resti uguale. Sarò contenta se da settembre la scuola costituirà nuovamente uno spazio reale per la comunità, ma ho un sogno, che tutto ciò su cui siamo stati costretti a riflettere e modificare, che questa esperienza di cambiamento e innovazione non vada perduta; ho il sogno che non si torni alle lezioni frontali, alle interrogazioni alla cattedra, alle verifiche dove l’eroe è chi copia meglio, a una scuola insomma ormai superata dai tempi e nei tempi, anche in quelli di pandemia.

 

Silvia Juliani, Liceo Copernico Prato

 

Trasformare un dramma epocale in una grande opportunità di crescita. Questa lettera andrebbe volantinata nelle sedi di tutti i sindacati della scuola d’Italia. Grazie. E continuate a scriverci qui, per raccontare i vostri spunti sull’estate del nostro talento: [email protected]

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