Lezioni dal virus: ai despoti non si danno le chiavi del mondo

Le lettere al direttore del 13 marzo 2020

Al direttore - Tutti a casa e non buttate le chiavi

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Primum vivere deinde philosophari: questa è l’ora dell’obbedienza e della disciplina (anche intellettuale), non delle polemiche ad mentula canis. Giuseppi ce la sta mettendo tutta, e merita il sostegno dei cittadini. C’è solo una cosa che non riesco a mandare giù: l’ammirazione, servile quanto ipocrita, delle nostre élite laiche e religiose per i successi della Cina nella lotta contro l’epidemia. Premesso che per me i dati forniti da un regime autoritario (vale anche per la Russia e l’Iran) sono falsi per definizione, Xi Jinping adesso vuole passare alla storia come il salvatore dell’umanità dopo averla appestata con le sue omissioni e i suoi ritardi. Quando il coronavirus sarà sconfitto, ha scritto il mio amico Riccardo Ruggeri, qualsiasi analisi non consolatoria sul futuro dell’occidente dovrà partire da qui, ovvero dal fatto che una globalizzazione sregolata è servita per dare a una dittatura dispotica le chiavi del controllo del mondo. Un mondo in cui la democrazia liberale è ancora sconosciuta in una parte enorme del continente asiatico e di quello africano, ed è rifiutata in quei paesi islamici dove politica e religione, temporale e spirituale, sono tutt’uno. Un mondo, inoltre, in cui l’America First trumpiano sta scassando il sistema delle relazioni internazionali, incoraggiando populismi e nazionalismi. Un mondo, infine, in cui l’Europa continua a balbettare, prigioniera com’è di illusori e insani egoismi statuali. Diceva Norberto Bobbio che la democrazia ha la domanda facile e la risposta difficile; l’autocrazia, al contrario, è in grado di rendere la domanda più difficile e più semplice la risposta. Aggiungeva che, per essere più forte, la democrazia ha bisogno del più largo possibile rapporto di fiducia tra governanti e governati; e quindi di bandire le pratiche della simulazione, dell’inganno, della menzogna, della frode. Chissà, passata la tempesta forse anche gli italiani si convinceranno che non sono più rinviabili quelle riforme – istituzionali, economiche e sociali – che sono necessarie per prendere sul serio le parole del filosofo del diritto piemontese. Mai dire mai.

Michele Magno

 

A proposito di Cina, solo una domanda: ma davvero c’è qualcuno che può dare credito ai dati che arrivano dalla Cina e che continua a considerare i numeri che arrivano da una dittatura come notizie veritiere dopo che quello stesso paese ha di fatto nascosto per mesi una pandemia? Chiedo per un amico.

   

Al direttore - Per fortuna, almeno per ora, il premier Conte non ha aderito alla richiesta di blocco totale del paese rivendicato dai governatori in prima linea nella difesa dall’aggressione virale. Non vi è alcuna garanzia che in un paio di settimane la situazione possa evolversi positivamente. Ma quando si imboccano certe strade non si torna più indietro. Sarebbe un errore fatale bloccare la produzione anche se vanno adottati tutti i possibili accorgimenti. E’ insensato suicidarsi per evitare di ammalarsi. Mi dispiace, ma io continuo a pensarla così.

Giuliano Cazzola

  

Bloccare tutto no, impossibile. Chiudere tutto ciò che si può chiudere però sì. E un giorno, per quanto oggi possa essere tutto molto doloroso, saremo orgogliosi di quello che sta facendo per noi questo governo.

  

Al direttore - Bellissima la vostra iniziativa di raccolta fondi per gli infermieri dello Spallanzani di Roma. Come sta andando?

Giovanni Marini

 

La nostra raccolta fondi procede bene (i dettagli per la donazione li trovate tutti in prima pagina). Siamo a un passo dai dieci mila euro con cui potremmo regalare agli infermieri dello Spallanzani di Roma dei sistemi mobili, a carrello, per poter raggiungere i pazienti, anche da remoto, nei vari ambienti medici dell’ospedale. Complimenti anche a Snam, che ieri ha stanziato 20 milioni di euro per realizzare iniziative in favore del sistema sanitario italiano contro il coronavirus.

Al direttore - Caro Cerasa, quante lezioni ci sta dando il Covid-19: si convive ogni giorno con la paura, la mancanza di lucidità nelle decisioni, la sanità è al collasso, lo spauracchio della recessione economica, i rapporti necessari con l’Europa, le aziende impreparate, la presenza di cittadini di serie A e B di fronte al blocco delle attività e il sistema carcerario ormai al limite. Forse non ci pensiamo: se il coronavirus arrivasse in un carcere sarebbe una strage. Di fronte a questo rischio lo stato ha proibito le visite dei famigliari ai detenuti. La rivolta nelle carceri nasce da questa situazione: nessuna misura reale di sicurezza sanitaria per le persone detenute ammassate nelle celle (60 mila e 50 mila posti letto) e divieto di incontrare le famiglie. Ieri il conto dei morti per le rivolte che sono esplose è arrivato a 12 e i decessi sono legati soprattutto a overdose dopo il saccheggio delle casseforti delle infermerie e il furto di metadone e psicofarmaci. Il primo è un farmaco sicuro quando utilizzato per i tossicodipendenti, ma può diventare letale se viene assunto da persone prive di tolleranza agli oppioidi. Per una persona priva di tolleranza anche l’equivalente di un cucchiaio (30-40 mg), può risultare letale con una morte che arriva nel sonno. Questa situazione dimostra che la presenza di tossicodipendenti in carcere, comporta seri problemi per la complessità che la cura necessita. Chi è tossicodipendente deve trovare cure al di fuori del carcere: da tempo esistono dispositivi di legge che permettono di realizzare tale intervento. Il carcere non può essere un luogo di cura delle tossicodipendenze e le persone affette da tale condizione devono essere inserite in programmi di cura e riabilitazione.

Andrea Zirilli

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