Ping Pong contro il populismo. Grillini e garantismo: ora fateci Tarzan

Al direttore - Non si arretra, proclamano, di sicuro non si avanza, a questa maggioranza manca il Ping.

Margherita Boniver

In attesa del Ping, ci accontentiamo di qualche Ping Pong mica male, come quello di Beppe Sala contro Giggino Ping, “Pensassero alle grandi questioni politiche, non a rompere le p… a noi che abbiamo un modello che funziona e nove milioni di turisti”, come quello di Tiziana Ferrario contro Ale Dibba Pong, “ti sei fatto pagare per i tuoi ridicoli reportage tra gli indios del Guatemala e per fare le tue lunghe vacanze in America latina come fossi un giovane studente in gap year, anno di viaggio alla scoperta del mondo che si fa di solito a 18 anni”. La tolleranza, diceva Thomas Mann, diventa un crimine quando si applica al male. Viva il Ping Pong.

 


 

Al direttore - Il processo a Virginia Raggi aveva un solo obiettivo: dimostrare ai nuovi arrivati che a comandare, in Italia, continuano a essere le procure. I “grillini” lo hanno capito benissimo, tanto che, senza dire una sola parola sulla magistratura inquirente, se la sono presa, dopo la sentenza, con i media e gli editori. Proprio loro che, sui processi sommari a mezzo stampa, hanno costruito gran parte del successo elettorale. A chi scrive è sembrato, fin dall’inizio, legittimo il dubbio che vi fosse, nelle imputazioni alla sindaca, un fumus persecutionis. Il che rende ancor più disumano il fanatismo dei pentastellati. Secondo le regole interne, se condannata, Virginia Raggi avrebbe dovuto dimettersi (per questo motivo le difese postume dei “maggiorenti suoi” sono ridicole e disoneste). Inoltre, se fossero già vigenti le norme sull’interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado (ancorché assolutoria), la Raggi resterebbe a bagnomaria vita natural durante, soltanto “per aver messo – come ha ricordato Giggino Di Maio – una firma” sotto un atto amministrativo.

Giuliano Cazzola

 


 

Al direttore - Leggo sul blog delle stelle a proposito di Virginia Raggi questo post del Movimento 5 stelle: “Da innocente, l’hanno condannata mediaticamente, ricoperta di false accuse e insulti imbarazzanti. Oggi, dopo l’assoluzione, dove sono le scuse di quei giornali che invece di occuparsi dei dettagli del processo, hanno provato a influenzare negativamente l’opinione pubblica? Invece di raccontare i fatti, hanno fatto per due anni e senza mai una tregua pressioni, sfornato articoli con retroscena raccapriccianti, ridicoli e falsi. E questa la chiamano informazione? Questa è squallore, menzogna!”. Come era la storia del bue che dice cornuto all’asino?

Luca Meffi

Nella ridicola grammatica grillina il garantismo è sempre un gargarismo e l’articolo 27 della Costituzione, “ogni imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”, può essere regolarmente dimenticato, e sfregiato, a condizione che l’indagato non sia iscritto alla piattaforma Rousseau. E ora fatece Tarzan.

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, ad “accordi e disaccordi”, il ministro del Lavoro commentando il calo del 37 per cento dei contratti di somministrazione (post decreto dignità) nel terzo trimestre 2018, dice: “Era il mio obiettivo, perché i contratti di somministrazione sono il nuovo caporalato”. Con il massimo rispetto delle istituzioni, non sono d’accordo. Ogni singola agenzia per il lavoro è in campo da anni per aiutare giovani e meno giovani a orientarsi, lavorare, formarsi, crescere professionalmente e dare loro continuità professionale. La flessibilità sicura garantita dalla somministrazione, non può e non deve essere paragonata al caporalato. Non si dimentichi che lo Stato, ha il dovere di supportare e stimolare l’attività economica, creando tutte le condizioni che assicurino occasioni di lavoro. Oggi avendo come “obiettivo” la somministrazione, si perde l’occasione di supportare un settore che ogni anno dà lavoro a mediamente 200.000 persone, di cui il 30 per cento viene poi assunto a tempo indeterminato.

Andrea Zirilli

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