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La grande impresa di educare i figli

Annalena Benini

Come imparare a non spintonare gli altri genitori ai saggi di danza

Qualsiasi genitore abbia assistito a una partitina di calcio tra bambini sa quali abissi di inciviltà e di cecità possano raggiungere padri e madri nel battersi per la vittoria dei propri colori (Ho giurato a me stesso di astenermi dal partecipare a spettacoli così deprimenti dopo avere sentito un padre incitare il figlio a spezzare le gambe all’avversario di seconda elementare). Ci sono sport negli Stati Uniti in cui si fa ormai fatica a reclutare gli arbitri per i match tra ragazzi, perché alto è il rischio di aggressione da parte di famiglie inferocite.

  

Antonio Polito,“Riprendiamoci i nostri figli” (Marsilio)


   

Ho letto il nuovo libro di Antonio Polito e mi è tornato in mente l’ultimo saggio di mia figlia, danza hip-hop, in un teatro a Roma, durato circa quattro ore, durante il quale sono stata calpestata, sgomitata e spintonata da genitori con videocamere, che dovevano riprendere ogni centimetro dell’esibizione dei loro figli. Polito parla di “fallimento educativo” e di emergenza, lo fa in modo profondo, da osservatore appassionato di concretezza: è diventato padre in due momenti diversi della vita, vent’anni prima e vent’anni dopo, e quindi ha fra le dita il cambiamento del mondo intorno a lui e anche il suo stesso cambiamento, come genitore. “I figli sono diventati la giuria che emette il verdetto sui padri, come in un format televisivo. Per questo facciamo di tutto per risultare loro simpatici”. Mio padre, in effetti, non ha mai avuto nessun interesse a risultarmi simpatico, credo non ci abbia proprio mai pensato. Io desidero tantissimo essere simpatica ai miei figli. Anche per questo, e per i calci che ho preso dagli altri genitori al saggio di hip hop , e per le moleste e confuse chat di scuola che non posso abbandonare, e per l’invocazione di Polito a un’alleanza fra genitori, insegnanti, intellettuali, idoli del pop, stelle dello sport per rilanciare l’educazione come emergenza nazionale, penso che il problema, ancora più della solitudine dei padri davanti a una società narcisistica e a una generazione che non è abituata a essere rimproverata né criticata, sia proprio il narcisismo dei padri, e delle madri. Per vanità, per simpatia, per comodità, per apprensione e per insicurezza, anche per distrazione: desideriamo specchiarci nei nostri figli, dunque la loro soddisfazione è la nostra, il loro appagamento, immediato e senza meriti, è la prova della nostra riuscita. Polito scrive che non abbiamo diritto all’amore dei nostri figli e che dovremmo mettere in discussione quello che intendiamo per amore. E’ vero: siamo pazzi di loro, ma soprattutto vogliamo che loro siano pazzi di noi, e quindi ci imitiamo a vicenda, annulliamo le distanze, speriamo che ci trovino fichi. Per questo l’eredità è così leggera, perché ce la stiamo ancora costruendo. Se capiamo che i nostri figli hanno un problema, non ci sentiamo in grado di risolverlo, abbiamo paura di rompere lo specchio, ci affidiamo a uno specialista estraneo, a uno psicologo, scrive Polito. “Gli psicologi cercano l’errore dei genitori, dove hanno sbagliato. Ma l’errore fondamentale è che ‘si è ignorato l’umano che è in loro come in noi, quella sfida dell’io che Leopardi celebra in modo insuperabile e che si sintetizza in un insopprimibile desiderio di infinito: Natura umana, or come, / Se frale in tutto e vile, / Se polve ed ombra sei, tant’alto senti?’”. Siamo così presi, così tormentati dal nostro desiderio di infinito, dalla nostra vocazione, dalla nostra emergenza, che la missione educativa ci sembra un’impresa troppo grande, da sostituire con soddisfazioni immediate e adorazione totale. Polito cita un estratto bellissimo dalle Piccole virtù, di Natalia Ginzburg: “Quello che deve starci a cuore, nell’educazione dei nostri figli, è che non venga mai meno l’amore per la vita”. Tutto questo è già moltissimo, possiamo riprenderci i nostri figli attraverso l’amore per la vita, almeno: vedendolo in noi, lo assorbiranno, lo conserveranno, e poi ne faranno ciò che vogliono.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.