Le elezioni: sicuri sia come il 1948? Why Emmott is unfit to read Italy

Al direttore - Schulz: non entro nel governo. Proposte dall’Italia? Film?

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Mi sembra esagerato raffrontare le elezioni del 4 marzo a quelle del 1948, anche perché le posizioni dei partiti allora in campo, Dc e Fronte popolare, erano rispettivamente indisgiungibili: non vi era in ballo solo l’adesione all’Alleanza atlantica. Per di più oggi non esistono due blocchi contrapposti, così strutturati e così determinati e vincolati anche per i legami esteri, da essere l’uno pro Europa e l’altro indiscutibilmente contro. L’evocazione del ’48 suona male anche per il carattere incandescente che, volens nolens, si finisce con l’attribuire alla competizione elettorale. Manca solo che qualcuno, esercitandosi in questo raffronto improprio, individui un Luigi Gedda del 2018, nelle nuove vesti richieste dalla contrapposizione frontale malamente ipotizzata. I problemi che la campagna elettorale sta evidenziando sono altri, a cominciare dalla mancanza di una linea chiara, coerente, organica di politica monetaria, mentre si sviluppa sempre più il disegno volto ad affrontare quei temi epidermici che sono volti a catturare la benevolenza dell’elettorato. Si raddrizzerà in queste ultime settimane o è vana speranza? Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

 

Al direttore - Ai primi di Gennaio Bill Emmott scrive per Project Syndicate: “The Bunga Bunga Party returns to Italy”. Berlusconi, spiega, potrebbe finire per essere il salvatore politico dell’Italia, non escludetelo. Però, posto di fronte all’alternativa scalfariana, chi sceglierebbe tra Berlusconi e Di Maio, risponde che “Se fossi costretto sceglierei Di Maio”. Ieri, sul Financial Times, in un articolo intitolato “Five Star is Italy’s equivalent to En Marche in France. The trouble is it lacks an Emmanuel Macron” spiega: è vero che “manca dell’esperienza, dell’abilità, e del savoir faire di Macron”; ma se dopo il 4 marzo, il solo governo possibile sarà quello espresso da una grande coalizione con Berlusconi come kingmaker, Di Maio potrà solo dare la colpa a se stesso: “Avrà fallito l’obiettivo di soddisfare i suoi elettori affamati di cambiamento e avrà fallito quello di salvare l’Italia”. Bill Emmott è il direttore dell’Economist che nel 2001 firmò la copertina che fece il giro del mondo: “Why Berlusconi is unfit to lead Italy”. Adesso sappiamo perché Bill Emmott è unfit a capire qualcosa di questo paese. E, in generale, di politica.

Franco Debenedetti

 

Paragonare Di Maio a Macron. Siamo alle solite: Emmott is unfit to read Italy.

 

Al direttore - Nessuno se ne è accorto, ma alla fine di gennaio la Cgil ha tenuto a Milano una conferenza di programma assai ambiziosa. Il suo slogan, infatti, era “contrattare l’algoritmo”. Negli stessi giorni, invece, quel poveretto dell’Ig Metall tedesco negoziava testardamente aumenti salariali, orari settimanali flessibili, ferie aggiuntive. Con risultati piuttosto apprezzabili, grazie anche a un sistema di relazioni industriali virtuoso e storicamente non ostile all’innovazione tecnologica. Ecco, la differenza sta tutta qui. Da noi c’è chi vuole contrattare l’algoritmo e nel contempo tassare il robot, sradicare il lavoro nero e insieme abolire i voucher, mentre presenta come una “svolta epocale” un accordo che reintroduce per i neoassunti della società elettrica romana l’articolo 18 (ancorché nei limiti fissati dalla legge Fornero, però questo non si dice). Ma nella confederazione maggioritaria c’è qualcuno che si interroga sul perché non da oggi Marco Bentivogli, segretario dei metalmeccanici cislini, è il dirigente forse più autorevole e più ascoltato del sindacato italiano?

Michele Magno

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