Giorgio Tirabassi (foto RaiPlay)

Legale di malaffare

Mariarosa Mancuso

“Liberi tutti” in streaming prima di approdare a RaiDue. “Dagli autori di ‘Boris’”

"Dagli autori di ‘Boris’”. Sono le parole magiche che attirano verso “Liberi tutti”, la serie di Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico, in dodici puntate disponibili su RaiPlay dal 14 dicembre scorso. RaiPlay è la piattaforma streaming dove si è trasferito Fiorello con il suo show “Viva RaiPlay!”, dopo una settimana di assaggi trasmessi su RaiUno all’inizio di novembre. Ti affezioni al programma, e poi ti traghetto dove non avresti mai pensato di andare da solo – questo il pensiero sotteso all’operazione.

 

Non tutti gli spettatori guardano volentieri i programmi in streaming, e se lo fanno non scelgono in prima battuta i varietà Rai. La notorietà e la bravura di Fiorello – qualche giorno fa era ospite Checco Zalone, che con piglio da chansonnier francese intonava “Nostalgie du bidet” – dovrebbero fare il miracolo. Parlando di numeri, gli utenti finora registrati sono 12 milioni e mezzo. Parlando di futuro, è il passaggio da una programmazione lineare (il tal programma il tal giorno al tale orario) a una programmazione on demand, con licenza di binge watching: ti offro la serie intera, come fa Netflix (ma dovremo smettere di intendere il marchio come sinonimo di piattaforma streaming, già abbiamo Amazon e presto arriverà Disney+, per dirne un’altra).

 

“Liberi tutti” sarà trasmesso prossimamente su RaiDue. Le altre serie distribuite prima in streaming e poi in chiaro – “I Topi” di Antonio Albanese e “La linea verticale” – erano sbarcate invece su RaiTre. Funziona già da indizio riguardo ai contenuti. Ed è l’occasione per un pensiero commosso a Mattia Torre, che con Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico ci aveva regalato “Boris”, irripetibile esempio di satira sulle serie televisive italiane. E più di recente, “La linea verticale”, serie ospedaliera dolorosamente autobiografica – per chiunque sapesse della sua malattia – ma capace di tragicommedia, genere in Italia poco praticato (aggiungiamo: come tutte le scritture non consolanti, non retoriche, difficili da calibrare nei loro ingredienti).

 

“Liberi tutti” racconta di un avvocato d’affari – più che altro, di malaffare – sorpreso con 25 milioni di euro nel bagagliaio della macchina (“affittata”, è la sua linea di difesa). Lo mettono agli arresti domiciliari, ma non avendo più case proprie – son tutte sotto sequestro – finisce nella comune messa su dalla ex moglie. Assieme al nuovo fidanzato di lei, e questo sarebbe il meno. Attorno a loro, una varia umanità che vive secondo i dettami della decrescita presunta felice, beve acqua e aceto, ogni mattina fa il saluto al sole. Rischiando di non essere ammesso – si vota per alzata di mano – l’avvocato comincia una non tanto sottile opera di corruzione. Nella comune vive anche la figlia adolescente, più rigorosa dei grandi. Arriva un elettricista che viene cacciato in malo modo, prima che intervengano i più saggi. Ma siccome anche i paranoici hanno nemici, era un poliziotto venuto a piazzare le cimici per le intercettazioni ambientali. Entra in scena la coppia degli intercettatori, una delle gag ricorrenti e meglio riuscite. I due – uno è stato appena lasciato dalla moglie – ascoltano, commentano, scoprono che anche gli equi e solidali qualche scheletro nell’armadio lo tengono. Il casolare forse sorge su un terreno un po’ inquinato: vuoi vedere che i pomodori biologici sono tossici? E un sedicente Principe di Filicudi manda lettere per rivendicare la proprietà della tenuta. Un avvocato con pochi o niente scrupoli potrebbe tornare utile.

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