Grandi bugie

Non fa in tempo a sbarcare su Netflix e “Mytho”, di Fabrice Gobert, ha già pronta la seconda stagione

Mariarosa Mancuso

“Il cinema è la morte al lavoro”, sosteneva Jean Cocteau (a lui dobbiamo un magnifico “La bella e la bestia” del 1946, con le mani-candelabro che sbucano dalla parete). Facevano tesoro della leggiadra citazione un paio di vecchie conoscenze che odiavano i film del passato, trovando insopportabile il fatto che attori e comparse fossero nel frattempo tutti defunti (così recita la versione gentile e cortese; più probabilmente era una scusa per stare lontani dai film muti e in bianco e nero).

 

Parlando di serie tv, corteggia volentieri la morte il regista e sceneggiatore francese Fabrice Gobert, lanciato nel 2012 da “Les revenants” (aveva cominciato a scrivere la serie con Emmanuel Carrère, che ancora si pente – lo racconta all’inizio di “Il regno” – per aver abbandonato: mal sopportava il lavoro di gruppo). Due stagioni, per un totale di 16 episodi, raccontavano i ritorno dei morti in una cittadina di montagna, vicino a una diga. I trapassati – ragazzini e ragazzine, un suicida, un killer – si ripresentavano come se nulla fosse successo. Come se da allora non fosse trascorso neanche un giorno: ai vivi, il compito di riadattare le proprie vite.

 

L’ultima fatica di Fabrice Gobert, stavolta in coppia con Anne Berest, è intitolata “Mytho”, su Netflix con il titolo italiano “La mitomane”, che subito svela chi racconterà un mucchio di bugie (sbagliato anche il registro: “mytho” si usa chiacchierando, anche per dire “ma sei fuori”, bastava dire “bugie” per rendere l’idea). Scavalcato il primo ostacolo, facciamo conoscenza con la casalinga disperata Marina Hands – è una notizia che le serie francesi rubino volti al al cinema d’autore, l’attrice fu Lady Chatterley nel (pochissimo visto) film di Pascale Ferran tratto da D. H. Lawrence. A poche case di distanza, una casalinga più disperata di lei ha appena avvelenato la famiglia.

 

La protagonista mezza italiana della serie si chiama Elvira Giannini (guest actor Andrea Roncato nella parte del genitore, pizzaiolo-artista che non consente aggiunte ai capolavori appena sfornati, anche se lavora dentro un furgone). Tra i piedi, in ordine sparso ma tutti bisognosi di cucina e lavanderia, ha un compagno aspirante fotografo che la tradisce con la farmacista; una figlia piccola disperata perché sta leggendo il “Diario di Anna Frank”, un figlio che si veste da ragazza e si trucca gli occhi, una figlia grande in piena crisi adolescenziale.

 

La crisi di nervi sta per arrivare, il lavoro nell’ufficio che sbriga pratiche assicurative non aiuta. Da qui la bugia, tutt’altro che lieve. Elvira si finge malata, cancro al seno. E tutti cambiano atteggiamento, a cominciare dal cognato che da mesi le promette una Jacuzzi in giardino, senza mai prendere la pala e scavare. Arriva finalmente la proposta di matrimonio – al supermercato, tra gli scaffali affollati, rubando il microfono alla dimostratrice di prodotti per pulire il forno. Siccome il paese è piccolo, la farmacista amante sente tutto (per un attimo ha la faccia della vendicativa Glenn Close in “Attrazione fatale”).

 

Sei episodi per la prima stagione, trasmessa in Francia su Arté (Netflix l’ha comprata fatta, come “Chiami il mio agente!”). E una seconda in arrivo, troppi erano i fili della trama rimasti in sospeso. Ovvio che la bugia diventa sempre più impegnativa da reggere, e man mano che passa il tempo dire “non era vero niente” espone a pesanti controffensive. Il capufficio, bravo a sventare le truffe assicurative, regala un consiglio prezioso: “Attenzione ai vicini di casa impiccioni”.

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