Ricky Gervais in After Life

Elaborare il lutto

Mariarosa Mancuso

Tra Jim Carrey e Ricky Gervais vince il primo: ha più senso dello spettacolo e del grottesco

"Un penny per i tuoi pensieri". Era un episodio della serie "Ai confini della realtà", andato in onda sulla Cbs nel 1961. La serie originaria era firmata e introdotta da Rod Serling, la parola showrunner ancora non esisteva. Imitata e aggiornata molte volte, anche nel film diretto da Joe Dante nel 1983. Nella serie televisiva del 2002 il narratore era Forrest Whitaker. Nell’ultima – ribattezzata “reboot”, ovvero “nuovo inizio”, ora usa così – il narratore è Jordan Peele di “Noi”. Non l’abbiamo ancora vista, la venerazione che abbiamo per “The Twilight Zone” ha vinto sull’amore che portiamo a Jordan Peele (comunque la Cbs ha già ordinato una seconda stagione).

  

“Un penny per i tuoi pensieri” parte da una moneta che invece di ricadere su una delle due facce (“testa o croce?”) rimane in bilico. Da quel momento l’impiegato di banca Mr Poole sente i pensieri della gente attorno a lui, pronunciati con voce forte e chiara. Il capoufficio sposato che organizza il fine settimana con l’amante, il cliente che chiede un prestito per giocarselo alle corse e rimettere in cassa i soldi sottratti alla ditta, il collega che progetta una rapina alla propria banca. Dopo una serie di disastri, Mr Poole capisce che non sempre le persone fanno quel che pensano, e neppure pensano quel che faranno – con buona pace di film tratti da Philip Dick come lo spielberghiano “Minority Report”: bisogna arrestare i criminali prima che commettano i delitti, non quando li hanno commessi.

  

Dice tutto quel che gli passa per la testa Ricky Gervais in “After Life”, miniserie – “miniserie finora”, bisogna sempre precisarlo alla maniera di Homer Simpson – da lui scritta, interpretata e prodotta (su Netflix). Lo ha deciso dopo la morte della moglie Lisa, che bontà sua lo trovava “inetto e adorabile”, e gli ha lasciato un video con consigli e incoraggiamenti del tipo “fai mangiare il cane due volte al giorno, metti i piatti sporchi subito nella lavastoviglie sennò si incrostano”. Le crediamo sulla parola, quel che vediamo della loro vita coniugale è lui che la sveglia mentre dorme, o la distrae quando dipinge, con la pallina di gomma del cane.

 

Ricky Gervais è arrabbiato, molto arrabbiato. Ed è triste, molto triste. Come il vedovo Jim Carrey nella miniserie “Kidding” diretta da Michel Gondry. Di mestiere fa un programma tv per bambini, mentre Ricky Gervais lavora in un giornale locale gratuito, dove un vecchietto che ha ricevuto cinque cartoline di compleanno identiche è materia da prima pagina. Nel disastroso accoppiamento di ognuno con il proprio lavoro sta metà dell’una e dell’altra serie. L’altra metà riguarda l’elaborazione del lutto: tema doloroso e degnissimo, con sfumature di grottesco – Ricky Gervais sta nel bagno con una lametta in mano, il cane entra per giocare.

 

Jim Carrey è molto più bravo: ha un più forte senso dello spettacolo e sa giocare meglio con i contrasti. Netflix ha lasciato a Mr Gervais le briglie lunghe – come rifiutare qualcosa all’attore, autore, regista di “The Office”? – e il risultato non è brillante. Dovrebbe avere il ritmo della sit-com (oppure, a scelta, fornire personaggi e non macchiette). Invece Ricky Gervais fa sparire chiunque possa metterlo in ombra, non è così che si costruiscono le serie appassionanti. Ci siamo segnati soltanto lo psicoanalista che invece di sbadigliare classicamente mentre il paziente parla litiga su twitter. E la vecchietta che chiacchiera con il marito morto, e teme la pazzia. Ricky Gervais la rassicura: “E’ matta solo lui se risponde”.

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