La serie Tredici, lanciata il 31 marzo su Netflix

I ragazzi si guardino “Tredici” da soli, senza inutili imposizioni e successive interrogazioni

Mariarosa Mancuso

La serie tv, lanciata il 31 marzo su Netflix, è proposta come visione obbligatoria a tutti gli adolescenti in funzione antibullismo

Nata nel 1992, ex ragazzina Disney e attrice in “Spring Breakers - Una vacanza da sballo” di Harmony Korine (quando il film fu presentato alla Mostra di Venezia c’erano bivacchi di ragazzine in cerca d’autografo) Selena Gomez non è il primo nome che viene in mente quando pensiamo ai programmi scolastici. “Selena chi?” fu la frase ricorrente in sala stampa, a nulla servì ricordare i dischi d’oro vinti dall’ex bimba prodigio. Ora fa (anche) la produttrice. Della serie “Tredici”, lanciata il 31 marzo su Netflix, e proposta come visione obbligatoria a tutti gli adolescenti in funzione antibullismo.

Lanciata da uno studente, la petizione è sul sito charge.org, piattaforma “per trovare nuove soluzioni ai piccoli e grandi problemi della vita”. Viene voglia di scappare davanti all’intenzione di cambiare il mondo, una raccolta di firme alla volta. Si va da “la verità su Emanuela Orlandi”, all’abolizione dell’anno telefonico di tredici mesi inventato dalle compagnie telefoniche, a “salviamo Flixbus”.

 

Vedere “Tredici” nella lista delle petizioni fa paura. Sappiamo che effetto fanno i banchi di scuola sulle cose belle: diventano, se non insopportabili, quantomeno antipatiche. Sospettiamo che seguirà l’interrogazione o il tema, e tutti proclameranno che il bullismo va combattuto come la mafia. Siamo convinti che le serie servono a divertire, non a risolvere delicate faccende che toccano agli insegnanti e ai genitori (lavori più duri e ingrati del nostro, è il bello di non aver avuto una vocazione).

 

La visione coatta di “Tredici” – tale diventa, nel programma scolastico – non pare una soluzione. Meglio che si guardino la serie da soli, se ne hanno voglia, scoprendola con il passaparola: Selena Gomez sarà pure più attraente della convocazione di un insegnante o di un preside. Gli adolescenti hanno una passione per le storie lacrimevoli – in “Colpa delle stelle”, romanzo di John Green e film di Josh Boone, lei aveva il cancro e lui una gamba sola, già in “Harold e Maude” il ragazzino tentava il suicidio ogni momento, mentre la vecchietta Maude era allegrissima – e possono trovarsela da soli.

 

All’origine c’è un romanzo, “13” di Jay Asher. L’adattamento televisivo ha richiesto parecchio lavoro, Selena Gomez ha rinunciato alla parte della protagonista per raggiunti limiti di età, e anche perché non voleva che la sua celebrità impedisse l’identificazione con Hannah Baker. La ragazza parla dall’oltretomba, dopo il suicidio, come William Holden all’inizio di “Viale del tramonto” (nel film di Billy Wilder vediamo il cadavere galleggiare in piscina). Lo fa attraverso una serie di audiocassette registrate. Le trova sulla soglia di casa Clay, il compagno di scuola un po’ innamorato di lei: “Ti sto per raccontare la storia della mia vita, mettiti comodo”.

 

Racconterà la storia della sua morte, con nomi cognomi e misfatti. L’amica che sempre le ruba i ragazzi che le piacciono, il primo moroso che la fotografa in pose imbarazzanti e fa circolare il materiale a scuola. “Essere asociale ha dei vantaggi”, commenta Clay il diciassettenne solitario (“Riesci a creare dal niente una crisi esistenziale”, gli aveva rimproverato Hannah). Niente da dire sul dramma, qualcosa sulla scrittura. L’andamento a flashback diventa meccanico, e la ricerca dei colpevoli ha un solo leitmotiv: un piccolo gesto procura enormi sofferenze. Il successo impone una seconda stagione, qui più difficile che mai. Senonché Jay Asher si è ricordato che in una precedente versione del romanzo – pubblicata ora per il decennale – Hannah non moriva.

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