Una scena del film “Il diavolo in corpo”

Sogno o son desto

Umberto Silva

Lei è bruna e piange per “Il diavolo in corpo” e Gérard Philipe. Amare e morire. Ma era davvero qui?

Sono steso sulla chaise longue, dalla finestra osservo gli alberi. Accanto a me, sull’altra metà della chaise longue giace una signora dai capelli neri, quelle donne che muoiono intatte. Lei non è morta, è vivissima e anche il suo sguardo scruta la finestra. Passa il tempo e stiamo immobili come un antico re e la sua regina, io ho la spada pronta in un pensiero, lei sfoglia un libricino. Siamo due psicoanalisti, forse, molto graziosa lei, io una specie di bestia di natura difficile da precisare. Mi chiede del libro che non sta leggendo, rispondo che non leggo più libri da quando sono morto, o vivo. Sorride. Mi dice che è molto bello guardare gli alberi, chiude il libriccino e mi stringe la mano. Mi racconta qualcosa, così come parla lei è davvero amabile. Il libro racconta la storia di due sorelle e un padre, ma la donna dice che non mi sta raccontando il libro, piuttosto quel che le passa per la testa. Dice che era innamorata di suo padre e sempre lo è. Me ne frego, se ne accorge e mi pizzica il collo, va oltre, con la matita traccia un segno sulla mia mano. Si gira su di sé, mostrandomi le spalle. Scruto i capelli sparsi, nasconde il volto, le sue gambe raccolte in una sono perfette. Le domando – a chi? A lei? Chi è lei? – se ha sonno, la bruna mi risponde di no. Le accarezzo i capelli e le chiedo se accarezzarle i capelli è un modo di esistere. Sento il suo sorriso, quel suo corpo così… non saprei dire altro di più. Si alza di scatto facendo intravvedere la gonna e le ginocchia un po’ qua e un po’ là; si aggiusta i capelli, mi guarda in faccia mentre resto steso come un cadavere; scuote la testa e dice una parola che non capisco. Immagino che sia qualcosa come “adesso devo andare” ma non capisco niente in questo momento, immagino che lei vada da qualche parte a camminare e a riflettere su quel che accade nel mondo. Si alza e poi si risiede accanto a me, sulla chaise longue. E’ lei, non può essere che lei, mentre io non sono proprio io, mi sento piuttosto… lei.

  

Signore e signori che mi ascoltate davvero ascoltatemi, sono in una palude dagli occhi neri. Se dicessi che mi sto svegliando da un sogno sarei un folle, dal momento che sono ben sveglio e lei, la mia amica, è evidentemente lei. Se niente dicessi, guardando la mia porta, direi che in realtà ella potrebbe essersene già uscita salutandomi, e ora sta camminando per la scala e tra un po’ per la strada; se lei se ne è andata già mezz’ora fa non mi stupirei, magari è tornata a casa sua e a finito di leggere il libriccino. Ma tutto questo è falso, lei non è affatto uscita, lo sento, anche se fosse uscita non lo sarebbe affatto. Se sono qui steso, se lei ancora mi guarda dalla poltrona come in un teatro, un teatro senza fine, se lei è morta vent’anni fa, se davvero siamo qui, uno di fianco all’altra, o anche davanti, non mi spaventerei per niente. Direi che stiamo giocando, morti o vivi, quel che tu vuoi, per me va bene: tu stai guardando il pineto io il cielo, tu ti rivolti io sento che ridi, quante cose mi dici quando taccio, ora dovrai aspettare che io ritorni bestia, la mia preferita tra le sensazioni che coltivo. Ma ora perché piangi? Davvero stai piangendo?

  

“Perché? Te lo dico subito, mio caro. Penso a un film di tanti anni fa, Le Diable au corps, ti ricordi Gérard? E Micheline? Ci si amava e moriva, la guerra distrusse tutto, la Prima guerra, quella che i francesi vinsero ma morirono, e così ancora, poi hanno perso e forse vinto, ma chissà, mi sembra che non si faccia altro che vincere ma in realtà è un morire. Come era bello Gérard Philipe! Morì pochi anni dopo, che tristezza. Mi piacciono i cimiteri, è l’unica cosa di cui mi sento degna. Quanta gente continua a essere assassinata, li amo perché sento che un giorno anch’io morirò, è bello sai, orribile, degno”.

  

Apre la porta del mio studio e scompare. Mi alzo, barcollo, vado verso la porta, la apro davvero o qualcosa del genere, intravedo la mia assistente che osserva un uomo che si alza e viene verso di me. Lo conosco da anni, è un caro ragazzo un po’ svanito. E lei, la bruna? Che per dieci minuti io l’abbia sognata sulla chaise longue è indubbio, ma lei ha sognato me? Sembra una sciocchezza ma è tutto qui, tutto qui!

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