Vigili del fuoco intenti a spegnere incendi dovuti ai bombardamenti a Mykolaiv (foto Ap) 

un foglio internazionale

Gli snob del pacifismo che azzoppano il sostegno all'Ucraina

Il problema degli intellettuali, di destra e di sinistra, che rifiutano le verità accessibili per esprimere teorie astratte. Il commento di Bruno Maçaes

"Nell’ottobre del 1943, nei mesi in cui è cambiato il destino della seconda guerra mondiale, il grande scrittore e intellettuale tedesco Thomas Mann parlò davanti a un gruppo di illustri politici, giornalisti e tycoon riuniti nella biblioteca del Congresso a Washington. Forse i suoi interlocutori si aspettavano che lo scrittore fosse sottile e ironico, come dovrebbe essere ogni genio. Mann tradì le aspettative”. Il commento di Bruno Maçaes sul New Statesman inizia con questo aneddoto di grande attualità: “Quel giorno non parlò il romanziere dei significati nascosti ma un uomo armato di alcune certezze, e disposto ad andare in guerra per difenderle. In alcune circostanze, disse Mann, il dovere degli intellettuali è quello di rinunciare alla libertà per il bene della libertà. Lui non avrebbe contestato i valori della democrazia e della giustizia, ma li avrebbe affermati. Il suo dovere sarebbe stato quello di trovare il coraggio per difendere le idee che l’intellettuale snob tratta con sufficienza

   
Il discorso potrebbe essere stato scritto ieri, e l’argomento in questione potrebbe essere la guerra in Ucraina. Anche noi siamo circondati da intellettuali snob convinti che i valori della libertà e della giustizia siano noiosi e banali. E forse lo erano, prima che i giovani ucraini iniziassero a morire per difenderli, e a morire per garantire all’intellettuale snob la libertà di continuare a deriderli.

    


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Negli ultimi mesi ci sono stati quelli, come il politologo americano John Mearsheimer, che si sono sentiti a loro agio a dire agli ucraini che il modo per difendersi dalla Russia fosse quello di riporre le armi. L’intellettuale canadese Jordan Peterson ha sostenuto che la Russia abbia invaso l’Ucraina per fermare il ‘wokeism’ (gli eccessi del politicamente corretto, ndt). Il commentatore americano anti woke Michael Tracey continua a dire che la Russia non ha bombardato Odessa, anche dopo che il Cremlino ha rivendicato l’attacco. 

 

Dozzine di intellettuali tedeschi hanno scritto delle lettere sostenendo che la pace sia meglio della guerra. Jürgen Habermas, il prototipo dell’intellettuale snob, si è stupito di quanto siano infantili gli ucraini, ancora convinti di potere vincere il conflitto. I luminari della Silicon Valley hanno deriso la guerra come l’ultimo argomento di tendenza, una sorta di arma di distrazione di massa. Un importante conservatore americano mi ha detto che sotto sotto lui fa il tifo per la Russia perché è contro i diritti dei trans. 

 

Gli intellettuali non devono necessariamente prendere una parte nelle grandi battaglie dei nostri tempi. In molti casi gli viene chiesto precisamente di non prendere una parte. Quando le tribù politiche si scontrano su argomenti di poco conto, gli intellettuali dovrebbero restare estranei e, se possibile, trattare la questione con ironia. Ma, come ha notato Mann, arriva il momento in cui la battaglia diventa personale anche per l’intellettuale. 

 

Nella guerra in Ucraina, questa categoria si trova di fronte al proprio nemico più grande. La battaglia si può combattere senza alcuna ambiguità. E’ una battaglia tra chi crea cultura e chi intende distruggerla. In questo caso, il ruolo dell’intellettuale è quello di spronare la società a combattere in difesa di valori sacri. Arriva un momento in cui anche i pensatori devono capire che tutto ciò in cui credono è in pericolo: quando la violenza si contrappone alla cultura, la luce all’oscurità, la distruzione alla storia e l’imbecillità al pensiero critico.

 

Questo è il momento in cui la differenza tra l’intellettuale e l’accademico diventa più netta. L’accademico, per molti versi, vive al di fuori del mondo. Durante la guerra abbiamo visto molti esempi, di cui Mearsheimer è solamente il più evidente. L’accademico vive di teorie e concetti (…). 

 
Gli intellettuali perdono interesse nelle verità semplici perché chiunque può accedervi. La guerra e la conquista? Concetti troppo primitivi. Meglio sviluppare delle teorie astratte – estranee al chiacchiericcio politico – che riflettono il potere intellettuale e restano appannaggio degli esperti.
 

Il problema, ovviamente, è che il mondo spesso è meno sottile delle teorie, e per capirlo bisogna fare lo sforzo di non essere sottili. In pochi ci riescono.  

 

Molti intellettuali in passato impiegavano anni o addirittura decenni prima di imparare a essere ingenui come gli eventi che li circondano. George Orwell, come molti altri, finì per sentirsi molto più vicino al mondo ma irrimediabilmente lontano dai suoi colleghi. 

 

Cosa concluse Orwell? Che non fosse particolarmente originale pensare che il ruolo dell’intellettuale sia quello di difendere la verità, ma aggiunse due considerazioni ulteriori che sono particolarmente rilevanti nella guerra in Ucraina. Primo, non ha senso difendere la verità in pubblico se uno non usa tutti gli strumenti a propria disposizione: passione, abilità, coraggio e, se necessario, anche l’aggressione. Secondo, non è possibile difendere la verità se non ti sei sforzato a cercarla, a volte anche in prima linea. Questo diritto non è garantito ma deve essere guadagnato. Abbiamo più che mai bisogno di chi è disposto a dirci la verità sulla guerra. La saggezza delle decisioni che effettueremo nelle prossime settimane dipenderà da questa rara abilità”.

  

(Traduzione di Gregorio Sorgi) 

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