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Un Foglio internazionale

Il postmoderno all'assalto delle scienze: in Oregon si “decolonizza” la fisica

La critica del metodo scientifico considerato come intrinsecamente “bianco” è tossica per la qualità della ricerca, oltre a essere razzista

Con il progresso della scienza moderna, ci troviamo di fronte a un fenomeno autenticamente globale. E’ un fatto che merita di essere celebrato e con esso questa realtà: a diversi gradi, i frutti tecnologici della scienza hanno raggiunto tutti gli abitanti del globo. Le scoperte scientifiche non si curano delle frontiere geografiche. L’algebra moderna deve le sue origini ai matematici del Decimo secolo. Quasi nella stessa epoca, alcuni astronomi cinesi registrarono l’esistenza di una supernova all’origine della Nebulosa del Granchio, mentre in Europa non ci fu alcuna osservazione. E a prescindere dalla volontà dell’astrofisico britannico Sir Arthur Stanley Eddington di tenere sotto il moggio l’apporto del giovane fisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar, i suoi lavori rivoluzionari sull’evoluzione stellare hanno modificato in maniera talmente profonda la nostra comprensione delle stelle che finirà per essere insignito di un premio Nobel. Resta il fatto che la concezione postmoderna della conoscenza scientifica empirica, che la rende sostanzialmente un prodotto culturale privo di qualsiasi fondamento obiettivo, ha continuato la sua vita in diversi quartieri accademici letterari e delle scienze sociali per allontanarsi sempre di più da un progresso scientifico in piena espansione. Fino a poco tempo fa, era ancora impossibile immaginare che degli scienziati nel campo della fisica o della biologia si allontanassero a tal punto da contrastare le basi empiriche della loro disciplina. Ma viviamo in un’epoca decisamente strana. A fine maggio, il rettore dell’Università dell’Oregon ha incoraggiato i suoi insegnanti ad assistere a una “conferenza appassionante” intitolata “Gli scienziati contro la scienza. Razza, genere e anti-intellettualismo nella scienza”, data da una fisica invitata. In sostanza, questa fisica afferma che il pensiero nero può aiutarci a liberare la scienza dalle tradizioni suprematiste bianche degli scienziati. La conferenza fa leva su alcune analisi di femministe nere e anticolonialiste per mostrare che la supremazia bianca è un sistema epistemico totale che influenza persino i nostri campi più “obiettivi” di produzione delle conoscenze. Il discorso si articola attorno alla nozione di empirismo bianco (…). Questo empirismo bianco modella allo stesso tempo il vissuto delle donne nere (e di altri gruppi) in fisica e le conoscenze reali prodotte sulla fisica. Fintanto che questo problema non sarà capito e affrontato di petto, i sistemi di dominazione continueranno ad avere un ruolo centrale nella pratica della fisica. In sé, queste sciocchezze razziste non meriterebbero alcun commento, anche se spingono a chiedersi come sia possibile che l’autrice, ignara apparentemente delle basi empiriche della propria disciplina, sia stata nominata in un dipartimento di fisica. Ma la reazione del responsabile accademico è alquanto inquietante. Il rettore dell’Università dell’Oregon dovrebbe mostrare maggiore accortezza in quanto professore di Antropologia, anche se la sua specializzazione in “folklore” e “cultura pubblica” potrebbe indicare che sia d’accordo con l’assimilazione del sapere a una costruzione culturale o razziale. Il suo messaggio è stato ampiamente diffuso al di fuori del suo istituto. (…). Quando si tratta di criticare certe sciocchezze che emergono nei milieu scientifici universitari, bisogna essere pronti a esprimersi più apertamente. In tempi più ragionevoli, queste assurdità non avrebbero mai passato i criteri di selezione che applicano gli organizzatori dei seminari in qualsiasi dipartimento universitario serio.

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