Un Foglio internazionale

Negli Stati Uniti le università vivono la Seconda èra del pol. corr.

Alcuni personaggi di rilievo a sinistra continuano a sminuire il problema, arrivando a sostenere che l’allontanamento di alcuni professori colpevoli di aver sostenuto tesi eterodosse è il segno di un’università sana. Un problema sottovalutato dagli anni Novanta, e ora a pagare è la libertà di espressione

Il film ‘PCU’ del 1994 su una fratellanza ribelle che si batteva contro il politicamente corretto nella propria università è stato una pietra miliare. Non perché fosse particolarmente buono – non lo era affatto. E’ stato una pietra miliare perché ha dimostrato che il politicamente corretto era ufficialmente diventato uno scherzo”. Così inizia il saggio di Greg Lukianoff su Reaction, che racconta la storia del pol. corr. nei campus americani.. “Il termine derisorio ‘PC’ si riferiva a una forza potente e genuina che era entrata nei campus universitari nel decennio precedente. Ma a metà degli anni Novanta era diventata oggetto di scherno. La produzione di un film importante che si faceva gioco del politicamente corretto dimostrava che il suo momento culturale era passato”.


Uno dei casi più famosi che ha segnato la storia del “PC” ha coinvolto la Stanford Law School, che aveva imposto un regolamento coercitivo sulla libertà di espressione che è poi stato sconfitto in tribunale. Questo episodio ha segnato la fine della “Prima Grande Era del Politicamente Corretto”. Alcuni pensavano che questa sarebbe stata la sconfitta definitiva dell’ideologia, ma si sbagliavano. Il pol. corr. ha guadagnato forza nei decenni successivi, condizionando i criteri di ammissione nelle grandi università e i limiti della libertà di espressione al loro interno, e trasformandosi in ciò che viene comunemente chiamato “wokeness” o “cancel culture”. “Il politicamente corretto non è andato in declino – scrive Lukianoff –. Ha vissuto una fase clandestina e poi è rinato. Infatti oggi è più forte che mai. Eppure alcuni personaggi di rilievo a sinistra continuano a sminuire il problema, arrivando a sostenere che l’allontanamento di alcuni professori colpevoli di avere sostenuto tesi eterodosse è il segno di un’università sana. E questa tendenza a non volere riconoscere un problema serio ha rafforzato i culture warriors a destra, che hanno sferrato i loro attacchi alla libera espressione e al pluralismo nel sistema di istruzione americano. Siamo entrati nella Seconda Grande Era del Politicamente Corretto. Se vogliamo trovare una via di uscita, dobbiamo capire come ci siamo arrivati e riconoscere la scala del problema”.


La fase successiva alla “Prima Grande Era del Politicamente Corretto” viene chiamata da Lukianoff “Gli anni ignorati”. In questo periodo, i professori e i funzionari universitari hanno trascurato gli attacchi alla libera espressione, sostenendo che fosse un problema del passato e una fissazione della destra reazionaria. In realtà, questi sono gli anni in cui vengono introdotte restrizioni al diritto di parola in un numero crescente di atenei, dando vita a molti dei problemi attuali. Nel frattempo, il corpo accademico si è uniformato sempre di più: i professori conservatori sono sempre stati in inferiorità numerica nelle università americane, ma questo disequilibrio è cresciuto a dismisura negli ultimi vent’anni. L’istruzione è diventata più costosa e più burocratica. I funzionari amministrativi, la gran parte dei quali di fede liberal, si sono moltiplicati negli anni aumentando la propria influenza. Come ha scritto il New Yorker: “Sembra che un corpo studentesco piuttosto liberal viene istruito da accademici molto liberal – che interagiscono con un gruppo di funzionari amministrativi incredibilmente liberal”. Negli ultimi vent’anni l’influenza del politicamente corretto nei campus americani è cresciuta a dismisura. Stando ai dati del 2016, quasi il quaranta per cento delle università chiedono ai loro adepti di segnalare, spesso in modo anonimo, chiunque fa dei commenti considerati inappropriati, incluse battute innocenti o riferimenti pop. Allo stesso tempo, si è diffusa la pratica di annullare gli inviti agli ospiti e ai relatori sgraditi, spesso in seguito a proteste da parte degli studenti.

 

Un altro modo per imporre il pensiero unico all’università è stato quello di introdurre dei requisiti ideologici come criterio di assunzione e promozione per accademici e funzionari, a cui viene chiesto di riaffermare e fornire esempi della loro fede nei valori della diversità e dell’uguaglianza. Tra il 2014 e il 2015, è cresciuta l’attenzione dei media verso le limitazioni alla libera espressione nei campus americani. Questo periodo segna la fine degli “Anni Ignorati”, in cui si verifica un cambiamento cruciale. Nei vent’anni precedenti, i tentativi di imporre il pensiero unico nei campus erano animati dai funzionari amministrativi, e gli studenti spesso erano contrari. Adesso i tentativi di censura partono dal corpo studentesco. Questa generazione era figlia degli studenti militanti che avevano spinto, o quantomeno tollerato, gli speech codes negli anni Ottanta e Novanta, ed era cresciuta sui social media, quindi sapeva quanto potessero essere sgradevoli e pericolosi i commenti anonimi.

 

Lukianoff si sofferma sulla serie di Netflix “The Chair”, che racconta la vicenda di un professore di letteratura inglese che viene licenziato per avere fatto un saluto nazista, in modo satirico, durante una lezione sul modernismo. “The Chair” è una versione moderna di “PCU”. Entrambe deridono la cultura illiberale che si è diffusa nei campus negli ultimi cinque o sei anni, e sono un tentativo di affrontare finalmente l’atmosfera repressiva che si respira in molte università. La storia è anche piuttosto realistica. Oggi nei campus americani non bisogna essere accusati di nazismo per perdere il proprio posto di lavoro. Basta molto meno. Alcuni professori sono stati incriminati per avere citato James Baldwin e Martin Luther King Jr., o per avere espresso le proprie opinioni sulle origini del Covid-19.

 

Alcuni critici di “The Chair” hanno sostenuto che il tema denunciato dalla serie sia fortemente esagerato, dato che un numero esiguo di professori sono stati “cancellati” dalla propria università. “Se ogni altro problema sociale avvenisse con la stessa frequenza e sulla stessa scala, lo considereremmo di fatto risolto”, ha scritto Adam Gurri, direttore della rivista Liberal Currents. Questo tema, sostiene Lukianoff, riflette un’altra tesi espressa da chi vuole sminuire il problema del pensiero unico nelle università statunitensi. Questi notano che ci sono seimila college nel paese, di cui solamente cento hanno tentato di rimuovere i propri accademici. L’implicazione è che il problema sia diffuso, quando in realtà è molto concentrato. Sessantacinque tra i cento atenei più importanti del paese hanno avuto almeno un caso di questo tipo dal 2015. Nel frattempo, le dieci scuole più importanti hanno avuto una media di dieci casi ciascuna. Il punto di fondo è che la censura è diffusa in università che sono tra le più importanti al mondo, perché producono la classe dirigente americana. In questi atenei, solo il 2,5 per cento dei professori si reputano “conservatori” e appena lo 0,4 per cento si definiscono “molto conservatori”. Essendo una minoranza, molti di loro si autocensurano temendo di essere sanzionati per le loro idee. In un sondaggio, solo il 16,7 per cento degli accademici ha detto di essere d’accordo con l’affermazione che “è sicuro avere delle opinioni impopolari sul campus”. In uno studio del 2021, circa il 70 per cento degli accademici conservatori in America hanno rilevato un clima ostile nei loro confronti, e gli studenti di destra hanno denunciato lo stesso pregiudizio.

 

Un aspetto sorprendente, e allo stesso tempo sconfortante, è che gli accademici conservatori stanno emulando lo stesso modus operandi dei loro colleghi liberal, trasformandosi in ciò che loro stessi avevano a lungo combattuto. C’è stato il caso del presidente del Partito repubblicano in Virginia che ha chiesto di indagare un professore per avere criticato Donald Trump su Twitter; molti conservatori hanno tentato di mettere al bando l’insegnamento della “critical race theory” (Crt). Queste misure sono paradossali, e anche controproducenti: allontanare i professori che insegnano o aderiscono a una certa ideologia verrà utilizzata per sanzionare i dissidenti. Il problema è che, al giorno d’oggi, in molti campus americani i dissidenti sono proprio i conservatori.

 

Negli ultimi paragrafi, Lukianoff esprime cinque proposte per salvare le università americane dalla Seconda Grande Era del Politicamente Corretto. Abolire immediatamente i codici che regolano ciò che può essere detto. Adottare una dichiarazione che identifica la libera espressione come una delle missioni cardini dell’università e faccia in modo che l’ateneo si impegni a difendere questi princìpi. Difendere vigorosamente il diritto alla libera espressione di studenti, accademici e professori. Insegnare la libera espressione, la filosofia del pensiero critico e della libertà accademica fin dal primo giorno. Raccogliere dati e creare un clima positivo per il dibattito, la discussione e il dissenso.

 

“La lezione più importante della Prima Grande Era del Politicamente Corretto degli anni Ottanta e Novanta – conclude Lukianoff - è che sarebbe un errore pensare che film come ‘PCU’ che hanno messo in luce il problema bastino per risolverlo. Di conseguenza, il fenomeno è cresciuto ed è peggiorato. Non possiamo ripetere questo errore. Il momento ideale per ottenere un grande cambiamento nell’istruzione superiore americana era trenta o quarant’anni fa. Il prossimo momento buono è ora”.

 

(Traduzione di Gregorio Sorgi)

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