Il politologo americano Francis Fukuyama (Foto Imagoeconomica)

La storia non è finita, arriva l'identità

Redazione

Fukuyama spiega sull’American Interest il revival del nazionalismo 

“La storia è direzionale e progressiva e il processo di modernizzazione punta alla liberal-democrazia come sua incarnazione più completa”, ha scritto sull’American Interest il celebre politologo Francis Fukuyama, che nel 1992 predisse la “fine della storia”. “Arrivarci, però, è più difficile di quanto sembrasse nel 1992 e la possibilità di una putrescenza istituzionale è sempre più vicina. Visto che questo è già venuto fuori nei commenti sui social media sul mio nuovo libro ‘Identity’, mi sento in dovere di discutere sin dall’inizio la relazione tra questo mio lavoro e ciò che scrissi allora sulla fine della storia. Come mi ha detto qualcuno sui social media, ‘è difficile credere che qualcuno che aveva proclamato la fine della storia 25 anni fa ora scrive che l’identità è un fattore determinante della politica’. Il fatto è che in realtà io ho scritto costantemente di identità nel corso degli anni, a partire dal mio libro del 1992. Il difetto fondamentale del mondo moderno, ricco e democratico, dissi allora, era il suo fallimento nel risolvere il problema del ‘thymos’.

 

‘Thymos’ è una parola greca solitamente tradotta con ‘impeto’, di cui Socrate discute nel quarto libro della sua ‘Repubblica’. E’ quella parte dello spirito umano che chiede riconoscimento della propria dignità interiore, nonché il luogo di emozioni come l’orgoglio, la rabbia e la vergogna. Thymos, sostenni allora seguendo Hegel, è stato il principale fattore di sviluppo dell’intero processo storico umano. Nel mio libro del 1992 distinsi due manifestazioni di Thymos: l’isothymia e la megalothymia. La prima è il desiderio di riconoscimento come eguale da parte di altre persone ed è l’emozione che sostiene gran parte della politica identitaria moderna. La politica identitaria iniziò negli anni Sessanta, in seguito ai grandi movimenti sociali che emersero allora in risposta alla marginalizzazione di alcuni gruppi sociali: le minoranze razziali, le donne, i gay e le lesbiche, i disabili ecc. La loro principale richiesta era quella di un riconoscimento della loro dignità, insieme a un sostanziale cambio di atteggiamento nei confronti della loro condizione sociale.

 

La megalothymia, al contrario, è una richiesta da parte di certi individui di essere riconosciuti come superiori ad altri. Le liberal-democrazie sono state progettate in parte per contenere la megalothymia: i padri fondatori americani congegnarono un complesso sistema costituzionale di pesi e contrappesi per impedire a chi nutriva ambizioni cesaristiche di accentrare il potere, come aveva fatto il Cesare originale alla fine della Repubblica nell’antica Roma. Come ha detto James Madison, l’ambizione serve a contenere l’ambizione. Nel mio libro del 1992, in effetti, cito Donald Trump, presentandolo come un esempio dell’enorme ambizione individuale le cui energie erano state (almeno così sembrava) incanalate nell’imprenditoria in modo sicuro. All’epoca non potevo sapere che questo non gli sarebbe bastato”.