gettyimages

Il Figlio

Le nostre prigioni. Ogni carcere è un'isola e le storie si infilano una dentro l'altra come onde

Francesca Pellas

Nel suo nuovo libro "Ogni prigione è un'isola" (edito da Mondadori) Daria Bignardi ha compiuto un lavoro d’inchiesta importante, ricco di dati, interviste, testimonianze sul mondo del carcere. Un posto senza vie d'uscita ma pieno di voci, racconti e disperazione

Il carcere è un luogo e contemporaneamente la sua assenza. E come ogni mondo a sé, ha regole e sorprese. All’inizio di The Shawshank Redemption, ovvero Le ali della libertà (Shawshank è nome della prigione in cui è ambientato), Morgan Freeman racconta che il suo mestiere è far avverare i desideri dei compagni di galera: sigarette? Una bottiglia di brandy per festeggiare il diploma di un figlio là fuori? Può procurare qualunque cosa, perché è come un minimarket, anzi, di più: è il contrabbandiere ufficiale di Shawshank. Che scena grandiosa, con la ripresa a volo d’uccello, la sirena che suona e la musica di Thomas Newman. Ma l’esistenza del personaggio di Morgan quando non si dedica al contrabbando è quella di qualsiasi detenuto, fatta di noia, disperazione, piccole abitudini; come su un’isola da cui non si può scappare.


Lo dice bene il titolo del nuovo libro di Daria Bignardi, Ogni prigione è un’isola, appena uscito per Mondadori. E lo dice bene anche tutto il libro, visto che Bignardi il carcere lo frequenta da molti anni: è un “Settantotto”, ovvero una persona (non ama il termine volontaria) che ha il permesso di entrare “allo scopo di partecipare all’opera rivolta al sostegno morale degli internati e al futuro reinserimento nella vita sociale”. Voleva parlare da tempo di questa sua esperienza, di quel che sa e ha visto, della pena e della violenza della quotidianità in galera, ma ne aveva anche paura, perché “Scrivere un libro significa infilarsi dentro un’ossessione dalla quale non si esce mai, neanche mentre si dorme. E io non voglio stare in carcere per anni, non voglio starci di notte, pensare solo a quello. In carcere si sta male”.
La prigione è entrata in altre cose sue (per esempio: Galla, la protagonista del romanzo Oggi faccio azzurro, cantava nel coro di San Vittore), ma non con questa intensità. Si vede che poi è venuto il tempo, perché imporsi su chi deve scriverli è una cosa che i libri sanno fare, occupando ogni pensiero e minuto libero finché non gli si dà ascolto e non si comincia.


“Si ricordi che ogni istituto è uno Stato a parte, è come un’isola”, dice Michele, un ispettore di polizia penitenziaria. In prigione, come in guerra, l’uomo è illuminato a giorno, svelato nella sua essenza: se uno è un vigliacco, la sua vigliaccheria uscirà allo scoperto nitidamente, e un altro mostrerà il suo coraggio. Pino Cantatore, ex ergastolano che oggi fa l’imprenditore e dà lavoro a centosessanta detenuti di Bollate, spiega a Bignardi: “Se in carcere sta male il detenuto sta male anche la guardia: gli stessi che hanno picchiato a Santa Maria Capua Vetere, a Bollate non lo avrebbero fatto”. Dentro c’è troppa gente, in celle chiuse per troppe ore al giorno, e sempre, sempre, c’è un pensiero rivolto a chi sta fuori, soprattutto ai figli: alla loro vita che continua lontana. Come la società, la galera è pensata per gli uomini e non per le donne, che sono poche e si sentono abbandonate anche dalle famiglie (l’uomo ha sempre qualcuno che  va a trovarlo, la donna no). 


Daria Bignardi ha compiuto un lavoro d’inchiesta importante sul mondo del carcere, ricco di dati, interviste, testimonianze, scritto con il rispetto e la sensibilità che può avere solo chi quel mondo lo conosce. È però allo stesso tempo un libro di sentimento, profondamente personale, che alterna le voci della prigione a racconti intimi, come quello sull’estate che Bignardi ha trascorso per scrivere a Linosa, una delle tre Pelagie: un’isola verde, nera e sperduta, dov’è difficile attraccare e nei giorni di mare grosso non si può. In qualche modo, una metafora di che cosa significa stare in un posto senza vie d’uscita ma pieno di storie che si infilano una dentro l’altra come tante piccole onde.
 

Di più su questi argomenti: