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Il Figlio

In treno si lavora benissimo, dicono tutti: è vero, ma io no

Annalena Benini

Altro che lavorare, in viaggio il cervello di gommapiuma grigia trattiene solo le vite degli altri e le foto del passato 

Quando salgo sul treno per casa calcolo mentalmente il tempo a disposizione e piena di entusiasmo apro il computer, apro i libri, apro l’astuccio, prendo penne e matite, cerco di eliminare fisicamente con la sola forza del pensiero le persone intorno a me, prego che abbiano sbagliato posto o che scendano alla fermata successiva, spero che almeno mi lasceranno il posto corridoio, sennò mi sento in trappola, ma ogni volta che quello seduto al posto finestrino vuole andare in bagno o al bar o a telefonare mi alzo per farlo passare e mi cade qualcosa, un filo, una presa, una borsa un bicchiere. Oppure lui inciampa nel mio filo del computer e cade tutto. Oppure mi chiede di fare cambio di posto e io gli dico: no, la prego no. E così mi odia fino alla fine del viaggio e oltre. 


Ma non importa perché sono piena di entusiasmo e ho scelto il treno proprio per lavorare, come dice chiunque, come forse è vero per chiunque tranne che per me. Sono lì seduta, con tutto il lavoro davanti, e con il cervello di gommapiuma. Lo vedo, una nuvola grigia in cui c’è spazio solo per la vita del ragazzo seduto di fronte a me che guarda sorridendo video di Annalisa, solo lei, per quattro ore, senza smettere di sorridere. Una nuvola grigia in cui c’è spazio solo per le fantasticherie sul ritorno a casa, saranno felici di vedermi? La casa sarà in post tsunami come al solito? Mi lasceranno qualcosa da mangiare? Mi diranno: mamma sei stanca? Avranno delle cose fantastiche da raccontarmi ridendo? È totalmente folle che un momento fa si mettevano a piangere se andavo al cinema la sera, e io spavalda andavo al cinema lo stesso, è un mio diritto, devo sentire qualcuno che parla una lingua che conosco, cose di adulti, non Spongebob, e adesso non si accorgono se sono stata fuori quattro giorni, non mi dicono: finalmente sei tornata, anzi adesso loro sono dentro altre vite con persone che io non conosco, “resto fuori con Aurora”, “sto tornando mo’ e non mangio” (mo’??? non mangi???), insomma capovolgono il mondo come niente fosse e indietro non si torna. Mi chiedo: ma se tornassi indietro, al cinema ci andrei? O a quelle cene  molto meno avvincenti di Spongebob? Se tornassi indietro passerei il tempo a guardarli, lì sul divano e sul tappeto e nei lettini e addosso a me, e passerei il tempo anche a fare video e a dire loro: ma quanto siete belli? E direi: oggi non lavoro, andiamo al mare. Andiamo all’Upim, anzi restiamo a casa, andiamo da Spongebob, e ricordatevelo. Ve lo ricorderete? E mi promettete che non direte mai: mo’ arrivo? 


Allora dal treno faccio grandi progetti di ricostruzione di ricordi e auto promesse di buonumore perenne e mando messaggi passivo aggressivi: c’è qualcuno a casa stasera? No? Va bene non preoccupatevi per me, la prossima volta non torno. Passano due ore, penso di lavorare, ma questa gommapiuma che ho dentro la testa ha trattenuto solo le foto d’infanzia, dei Natali passati, di salti in alto, di sguardi sempre allegri che inizio a mandare su whatsapp con la speranza di commuovere, o almeno di intenerire, di fare venir voglia di approfondire il momento del passato che, lo ripeto, non torna ma si può rievocare all’infinito. Mia figlia alla terza ora risponde, dice che aveva un taglio di capelli assurdo  e che mi ritiene responsabile. Mio figlio risponde alla quarta ora, quando sono quasi a Roma, e dice: mo’ basta mamma con sta depre, perché non lavori?

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.