Michael Cunningham - foto Ansa

Il Figlio 

Torna Michael Cunningham, tra Covid e caos perenne, tragedia e tenerezza

Michele Neri

"Day", il nuovo libro dell'autore che descrive, attraverso una coppia di quarantenni con figli, un’intera generazione di comodi, infelici, immaturi e mansueti adulti occidentali che vivono una "relazione platonica con la realtà"

Tre giorni a distanza di un anno, con in mezzo il dramma del Covid. Il 5 aprile del 2019, 2020 e 2021: tempo sufficiente perché in Day (traduzione di Carlo Prosperi, La nave di Teseo), Michael Cunningham dissezioni a una profondità che sembra ferirlo, non soltanto una coppia di quarantenni accompagnati da figli, fratelli e parenti, ma un’intera generazione di comodi, infelici, immaturi e mansueti adulti occidentali che vivono una “relazione platonica con la realtà”. Al centro i genitori, Isabel e Dan, che s’interrogano sul senso della loro esistenza. Il padre ha un passato di tossico e musicista rabbioso ma ora è un ligio uomo di casa: prepara il latte in polvere per Nathan, poi la più piccola Violet, perché la moglie possa dedicarsi alla carriera di photo editor. Dan “rompe l’uovo con eleganza e precisione”. 
Alla vita nella brownstone newyorchese non mancherebbe nulla ma, di fronte all’addomesticamento di Dan, lo slancio che provava Isabel si è trasformato in gelida stima, forse in una blanda depressione.

Isabel teme di essere la figura periferica del ménage: se si siede sui gradini di casa, intuisce che non si alzerà più, mentre i figli crescono. E si detesta. “Isabel è imbarazzata dalla propria tristezza. E’ imbarazzata dall’imbarazzo per la propria tristezza”. A peggiorare la situazione per quel “raccogliticcio equipaggio” famigliare, è il trasloco dalla mansarda della palazzina del fratello minore di Isabel: Robbie, omosessuale trentasettenne costretto a lasciar spazio a Nathan, ormai cresciuto. Robbie insegna alle medie, ma il suo impegno è aggiornare su Instagram la cronaca dell’invidiabile amore per Wolfe, fidanzato immaginario, rubando foto dalla rete. Tutto è incerto: “Si chiede se dovrebbe provare a rimettersi con Oliver. Si chiede se non si sia condannato alla morte insegnando in una scuola pubblica a zero budget dove è possibilissimo che le analisi sull’amianto in realtà non siano mai state effettuate. Si chiede se, in fondo, non aver fatto medicina non sia stato un errore...”. Tutto è urgente: “È il momento di abbandonare una vita di aspettative ragionevoli. È il momento di essere più interessante per sé stesso. E’il momento di trovarsi il proprio Wolfe”.

Andatosene lui di casa, si sgretola la messinscena di una felicità il cui script comune consisteva nel rimpianto per un tempo in cui la sensazione dell’è troppo tardi non si era ancora affacciata. Ci penserà il Covid, protagonista inarrestabile del secondo giorno del romanzo, a creare ferite ed efflorescenze nuove in quei legami già incrinati, da cui i sopravvissuti usciranno, nella giornata conclusiva della storia, con equilibri nuovi. Guarire o soccombere, sarà comunque rinunciare a pretese di controllo, pensieri magici, rimpianti.

Ci sono almeno 4 buoni motivi per leggere Day. Difficile trovare una descrizione così intima di una generazione per cui la confusione tra esistenza reale e simulata sui social sia tale da non far scegliere dove passare il tempo. Un ritratto della distrazione perenne, con l’estenuante ruminare sul perché non si riesca ad amare la vita per ciò che è.

Leggerlo perché Cunningham non si ferma a metà delle parole: il gufo che si muove fuori dalla finestra dove Isabel attende qualcosa, qualunque sia, è “all’incirca delle dimensioni di un guanto da giardinaggio”. Leggerlo perché Isabel scrive una lettera impressionante per onestà alla figlia nel futuro, sintetizzando le paure di tante madri: “Una madre non è innocente. Non può esserlo. Troppo le viene chiesto”. E leggerlo perché, pur nella tragedia, abbondano il tenero e il grottesco, come in Little Miss Sunshine. Qui sono gli adulti a sognare di vivere, prima che sia impossibile, almeno uno di quei momenti.

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