IL FIGLIO

Lo stereotipo della signora coreana e un bicchiere di birra che fa la rivoluzione

Giulia Pompili

Sapete chi è una ajumma? Guardare "Minari" e "Parasite" per capire che c'è qualcosa che sta cambiando nella società coreana

Nella nuova pubblicità della Cass, la birra più popolare in Corea del sud, è seduta su una poltrona di pelle, elegantissima; si versa da bere e dice: “Se una come me è in una pubblicità della birra, il mondo deve essere decisamente migliorato”. Youn Yuh-jung ha 74 anni ed è la prima sudcoreana ad aver vinto un Oscar come miglior attrice non protagonista: è la madre di Monica nel film “Minari” di Lee Isaac Chung. Una come Youn Yuh-jung (Youn è il cognome) nella società coreana non esiste. O meglio, esiste solo come ajumma, un termine vagamente dispregiativo che indica una donna sposata che si veste in un certo modo e si occupa quasi esclusivamente della famiglia, della casa, di alcuni determinati hobby (per esempio: cucinare per la famiglia). Tutto ciò che si muove fuori da questo recinto non è accettato, e la società coreana lo allontana, lo nasconde, lo ignora.

 

Youn Yuh-jung è il contrario della ajumma: negli anni Settanta, al culmine della sua carriera da attrice, sposa il cantante Jo Young-nam, insieme si trasferiscono negli Stati Uniti e hanno due figli. Nel 1987 divorziano, Youn torna in Corea e vuole riprendere la sua carriera da attrice ma la società coreana non le perdona di aver lasciato il tetto coniugale. Racconta di aver accettato qualunque ruolo, anche il più brutto, pur di “dare da mangiare ai miei figli”. I figli sono il motivo per cui negli anni successivi inizia ad accettare anche ruoli in produzioni in America: è lì che si sono trasferiti, da adulti. “La gente in Corea dice che amo Hollywood. Ma la ragione per cui vado a lavorare negli Stati Uniti è perché posso vedere una volta di più i miei figli”, ha detto alla Nbc Asian America. “Minari” è stato il secondo successo per la Corea del sud dopo la vittoria come miglior film di “Parasite” nel 2020, diretto da Bong Joon-ho. Il governo sudcoreano sta puntando molto su questa “korean wave”, utile per monetizzare l’influenza nel mondo, ma in realtà tutte le produzioni degli ultimi anni che diventano successi internazionali sono anche una critica della società sudcoreana.

 

La prima a svelare la contraddizione è stata la scrittrice Han Kang, che ha vinto il Man Booker International Prize nel 2016 con il romanzo “La vegetariana” (Adelphi). Han Kang raccontava la difficoltà che incontrano le donne coreane se decidono di uscire dalle regole imposte dalla collettività. Diventando vegetariana, una donna sconvolge un’intera famiglia. “Parasite” è il ritratto di una città dove le diseguaglianze sociali non permettono la liberazione. Con “Minari” Lee Isaac Chung ha raccontato una storia personale, quella delle famiglie che negli anni Ottanta scappavano dalla povertà coreana – spesso anche dall’autoritarismo – per inseguire il sogno americano. E si ritrovavano in un posto completamente diverso, alieno, e cercavano la familiarità creando delle piccole comunità coreane in terra straniera. Nel film Youn Yuh-jung interpreta la nonna che viene chiamata dalla Corea per badare alla casa, per fare l’ajumma, ma è tutt’altro che una nonna responsabile. Beve, fuma, e secondo il bambino, che non ha mai messo piede in Corea, “puzza di Corea” e vorrebbe imporgli strane zuppe per farlo crescere (si chiama hanyak, è la medicina tradizionale coreana). Per molte immigrate coreane, l’America è servita per capire che esiste un modo di essere sé stesse fuori dagli stereotipi. Grazie a loro negli ultimi dieci, quindici anni la società sudcoreana è cambiata moltissimo. Youn Yuh-jung oggi dice tutto quello che le passa per la testa, non recita la parte della ajumma per essere accettata, e il motivo è che l’atteggiamento della società sudcoreana nei confronti del genere e dell’età sta cambiando.

 

Una delle influencer più famose sui social del paese si chiama Park Makrye, e anche lei ha superato i settant’anni. Ha gestito per una vita un ristorante che ha preso in mano quando il marito l’ha lasciata sola con tre figli, ripete di essere riuscita lo stesso a mandare i suoi tre figli a scuola e sua nipote all’università (oggi non ha problemi economici, fa la pubblicità per Samsung). Sui media coreani si discute di questa nuova immagine delle donne come Youn e Park, testimoni di una società che cambia, anche quando non vuole cambiare.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.