(Foto Pixabay)

Quante donne! Il genio di Ivy Compton-Burnett

Lisa Ginzburg

La scrittrice britannica amata da Natalia Ginzburg per il ritmo di chi sa dove andare

“È un ‘sempre’ che dura un po’ da poco, il vostro, mia cara”. Basterebbe una locuzione brevissima come questa a restituire immediatamente la temperie geniale che è di tutti i romanzi di Ivy Compton-Burnett, anche di Più donne che uomini, ora riproposto ai lettori italiani dall’editore Fazi (traduzione di Stefano Tummolini, 314 pp.). Non per caso Giorgio Manganelli, e dopo di lui Alberto Arbasino, hanno annoverato Ivy Compton-Burnett tra i più grandi scrittori del Novecento, e di lei Natalia Ginzburg, mia nonna, disse bene come la scrittrice inglese possedesse nello stile “il ritmo eguale e senza scampo di chi sa dove andare”.

 

Compattezza, nitore, idee narrative assolutamente chiare: romanzi magistrali. Descrizioni capaci di rendere visibile e comprensibile ogni personaggio, con pochi, perfetti tratti: “La quarta ad arrivare fu l’unica insegnante maritata del corpo insegnanti, una donnina di quarantacinque anni dall’aria ansiosa, con un visetto bruno dai lineamenti irregolari, manine brune e inquiete, abiti vistosamente sciatti e l’aria vigile, curiosa e intraprendente di una bestiola selvatica”. All’apparente, impeccabile uniformità della tecnica chirurgica di Compton-Burnett, si aggiunge la sua attenzione altrettanto minuziosa a chiaroscuri e dettagli caratteriali dei protagonisti, e il risultato sono atmosfere “pan-psicologiche”.

 

La sua è narrativa sempre costruita su relazioni, composte a loro volta da scambi umani dominati da forti moventi egoistici. Ognuno cerca di attrarre a sé il maggior numero di convenienze, vantaggi, privilegi, e lo fa con la sola arma della sagacia del proprio eloquio. Storie scolpite attraverso dialoghi. Un talento unico nell’usare la dialettica delle interazioni: assemblaggio magnifico di conversazioni che fungono da descrizioni, di parole rivolte ad altri e con altri scambiate configurando, nel loro stesso venir pronunciate, mondi interi.

 

Più donne che uomini (qui riproposto nella terza versione italiana, dopo una prima edizione Longanesi del 1950 seguita da quella Guanda del 1994) obbedisce alle stesse regole di impianto che sono di Fratelli e sorelle, Il presente e il passato, Padroni e Maestri (per citarne alcuni).

 

 

 

Josephine Napier, teutonica direttrice di collegio, disvela tutt’a un tratto un lato oscuro della propria vita – qualcosa che si lega alla maternità. Detonazione che deflagra in un universo in prevalenza femminile, composto di “più donne che uomini”, per l’appunto. Dove le donne sono pensate e restituite come esseri ricchi di vitalità strabordanti, e perciò “sempre in cerca di uno sfogo per le loro energie”. Meravigliose creature la cui esuberanza passionale e vitale sempre è “sproporzionata rispetto al resto”. Un po’ come in un film di George Cukor, la polifonia femminile è strepitosa da seguire e ascoltare perché irrefrenabile, ricca di continui spunti e sorprese per come dissimula le disarmonie. Un mondo disseminato di rivalità, sodalizi, complicità e altre forme di confronto tra le donne, ma forme che tutte confluiscono nell’arte suprema del loro dialogare.

 

Al di là del suo intreccio, Più donne che uomini si rivela una specie di prontuario femminile, su matrimonio, amore, amicizia, un vademecum il cui vettore di orientamento, insinuandola tra le righe, conduce all’emancipazione (“ciascuno è libero di scegliere quanto esser schiavo delle convenzioni”).

 

Romanzo non certo rivolto a sole donne, ma che delle donne e alle donne parla. Mosaico perfetto di parole, dove ogni singola frase è distillato di sapienza. E dove le tensioni che legano (e slegano) le varie insegnanti del collegio diretto dalla teutonica e imprevedibile direttrice, ribadiscono quanto la vitalità femminile, quando trova la strada per trarre forza dai rapporti con delle altre, possa risultare potenza invincibile. Libro attuale, Più donne che uomini. Racconta indirettamente come prima ancora che possibili madri, o mogli, le donne sappiano essere sodali, alleate. Capaci tra loro di ascoltarsi, comprendersi, separarsi magari, ma sempre all’insegna del rispetto, complicità sottotraccia. Non è poco imbattersi in una lettura così, in tempi aspri e difficili come questi, dove più che mai la solidarietà femminile è àncora, scoglio di salvezza.

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