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Non accadrà più, ma quest'estate il re della spiaggia voleva solo me

Annalena Benini

La passerella infinita, il mare lontanissimo e i bomboloni con il capo, arrivato da Roma

Sono arrivata al mare e per raggiungere mio figlio Giulio ho camminato lungo la passerella di cemento che dallo stabilimento porta agli ombrelloni. La passerella di cemento è lunghissima, perché questa spiaggia è enorme e ogni anno cresce di molti centimetri, forse chilometri: il mare si ritira, la sabbia avanza, è diventata talmente grande che ci sono persone, da sempre frequentatori della spiaggia, che da molti anni non vanno più in riva al mare. Hanno deciso di non fare mai più il bagno, perché è troppo lontano. Stanno sui lettini, o al bar, scrutano l’orizzonte e poi chiedono a chi torna dal viaggio: e com’era l’acqua, fredda? Com’è adesso la riva? Ci sono ancora le conchiglie? Ci sono i pesci? E cominciano a raccontare di quella volta, nel 2010, quando era arrivata dal mare una tartaruga, e quasi tutti avevano deciso di affrontare la traversata per andare a vederla, attrezzandosi con bottiglie d’acqua, ciabatte, cappelli, bastoni da passeggio.

 

Qualcuno si è fatto furbo e ha aperto dei punti di ristoro a metà tra la prima fila degli ombrelloni e il mare, anche con lettini per riposare e souvenir del percorso, ma nella mia spiaggia la guardia di finanza è implacabile, e c’è anche l’idea spietata che se non riesci ad arrivare in riva con le tue forze, senza aiuti esterni, allora non meriti questo mar Adriatico melmoso, puoi solo ottenere delle descrizioni, a volte delle foto, dai più forti. Camminavo quindi da un paio d’ore su questa passerella, perfetta per ripensare a tutta la vita, e ovunque sentivo chiamare il nome di mio figlio. “Giulio! Giulio”. All’inizio ho immaginato che ci fossero molti Giulio sparsi nell’enorme spiaggia, di tutte le età, poi ho pensato che Giulio si fosse perso o che fosse in pericolo.

 

Ma poi ho visto arrivare a razzo un bambino verso di me, aveva un costume giallo e un ciuffo troppo lungo, rideva ed era inequivocabilmente mio figlio. Dietro di lui, decine di bambini che lo invocavano. Era diventato il capo della spiaggia: tutti cercavano di farsi dare ordini da lui, di attirare la sua attenzione, gli chiedevano canzoni, balletti, tuffi in mare, schizzi, gli proponevano gelati, partite a ping pong, aquiloni. Ma lui voleva solo me, e le bambine chiedevano stizzite: lei chi è?, indicandomi. Mentre mi abbracciava fortissimo gli ho detto piano all’orecchio: ma che sta succedendo? E lui mi ha risposto: pensano che sono un vip, mamma ti prego non dire niente. Io: e perché pensano che tu sia un vip? Lui, scoppiando di orgoglio: perché sono di Roma!

Il bambino di Roma ha conquistato l’immensa spiaggia emiliana, perché è arrivato con il treno ma presto dovrà tornare nella sua capitale, dove lo aspetta come minimo il Colosseo in persona.

 

Mentre noi sentiamo la decadenza, la spazzatura fumante per strada, i cinghiali, lo sfinimento, i bambini sentono che Giulio arriva dal centro del mondo e quindi può decidere per tutti come ci si tuffa in piscina. Io, che non sono di Roma, godevo comunque di quella luce riflessa in quanto madre di Giulio che arriva da lontano, e un bambino si è offerto di andare al bar (diciotto chilometri di passerella infuocata) per comprarmi una Coca-Cola. Non avrei mai approfittato di una simile posizione di privilegio, anche perché i genitori di questi bambini mi guardavano già malissimo (Roma ladrona eccetera, e già sghignazzavano: allora, come va con i cinghiali?), ma non sapevo che stesse per arrivare la mia, inaspettata e irripetibile, apoteosi. Giulio ha scelto me. Ha abbandonato lo scettro di re della spiaggia, in mezzo allo sconcerto di tutti i bambini, per stare tre giorni attaccato a me.

 

In mare, al bar, sotto l’ombrellone, in sala giochi, in bici, lungo la passerella infinita, a casa, per strada, siamo stati sempre insieme. Abbiamo mangiato la piadina, i bomboloni con la crema, abbiamo giocato forsennatamente a flipper, l’ho battuto a biliardino, mi ha insegnato delle strade che non conoscevo, abbiamo visto i fenicotteri e abbiamo vinto una tazza con i punti della sala giochi, mi ha fatto vedere le rane, mi ha accompagnato a comprare un vestito e ha detto: ma no, provati questo che è più bello. Mi ha raccontato tutta la storia del Piccolo lord e anche quella di Fortnite, che comunque non ho capito. Mi ha preso la mano per strada e alla fine ha portato lui la valigia. So che non succederà mai più, quindi adesso voglio dire a tutti che quest’estate il re della spiaggia, venuto addirittura da Roma, voleva solo me.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.