Illustrazione di David Sala per “La furia di Banshee”, di Jean-François Chabas (Gallucci editore)

Cara Theresa May, io rispetto le tue fissazioni, ma sii gentile con me

Annalena Benini

“You can call tomorrow” non lo perdono. Ridammi mia figlia o dico la verità sulle docce

Quando la mia amica mi ha detto: “Però devi restare calma”, mi sono accorta che urlavo da un po’ e che dai tavolini intorno le persone mi guardavano curiose. Non era questa la mia idea di estate in città, ho detto quasi piangendo, a controllare il telefono ogni dieci secondi per vedere se a mia figlia, in Inghilterra, è permesso di parlare con me. A scrivere mail di certo nevrotiche e fintamente gentili alla manager di un college, cercando di spiegarle che se i bambini finiscono tardi gli sport del pomeriggio dovrebbero semplicemente far slittare l’orario di chiamata la sera, invece di cancellarlo, invece di mandare faccine sorridenti e dire: vi parlerete fra tre giorni, qui è tutto stupendo. Non è vero che è tutto stupendo, e non solo perché non sapete che cosa sia un bidet. Non è vero che è tutto stupendo, se a mio figlio ho mostrato le foto sul blog del college, con i bambini di tutto il mondo che corrono su un prato e si infilano dentro tunnel gonfiabili e lui ha detto costernato: povera Benedetta. Ha aggiunto: io non ci andrò mai.

 

Soprattutto non è vero che è tutto stupendo se l’altra sera a Benedetta tremava la voce quando diceva: adesso devo riconsegnare il telefono, ciao mamma ti voglio bene. Sarà forse tutto stupendo per voi, che anche se piove dite che è una splendida giornata, e state in maniche corte e pantaloncini con undici gradi per dimostrare che è estate. Non è estate se non fa caldo, caldo da morire, e non è un bagno se non c’è il bidet. Non è fantastico e non è una vacanza se a una bambina che chiede di scrivere un messaggio a sua madre la prima sera, voi rispondete con quei sorrisi da cavallo: you can call tomorrow. You can call tomorrow, mi dispiace ma io non lo perdono. Se venisse un bambino inglese a casa mia, anche se ha deciso di uscire dall’Unione europea io giuro che gli lascerei usare il telefono per chiamare sua madre. E se stabilissi delle regole, mi preoccuperei di farle rispettare in un modo non ottuso. Ora non vorrei aprire una discussione su Margaret Thatcher e certe sue ottusità, né su Theresa May che oggi non accoglierebbe più la me stessa cameriera di vent’anni fa, e neanche sul luogo comune, da me mai assecondato figuriamoci, che gli inglesi non facciano abbastanza docce (ricordo solo che nella mia unica esperienza in famiglia in Inghilterra mi avevano chiesto di non usare l’acqua calda proprio ogni giorno). Però di fronte a quei feroci sorrisi da cavallo c’è da perdere la testa.

 

“Devi stare calma”, continuava a dirmi la mia amica mentre il mio iPhone non squillava, non vibrava, non si illuminava, non faceva niente proprio durante quegli unici quaranta minuti di libertà di movimento telefonico concessi probabilmente da Theresa May in persona. Che cos’ho io che non va, cara Theresa? Perché non mi lasci parlare con mia figlia? Tanto hai già detto che non le permetterai di venire a lavorare a Londra, quindi che ti importa se non la sbatterò fuori casa a diciott’anni e se adesso voglio telefonarle per sapere se sta bene? Io non ho mai contestato la faccenda del bidet, e quando stavo in famiglia in Inghilterra ho mangiato obbediente tutte le lasagne da microonde che mi davano per cena, ma non solo: ho ascoltato le confidenze sui problemi di alcolismo della madre che chiudeva la doccia a chiave per impedirmi di usarla. Ci vuole un po’ di gentilezza reciproca, di apertura mentale: io capisco le tue fissazioni, Theresa, tu cerca di capire le mie. E se invece vuoi essere rigida e inflessibile e chiudere le frontiere alle telefonate dei bambini, allora ricordati che sei stata tu a dirmi: dalle sei e un quarto alle sette di sera. Mi sarebbe bastato anche meno. Ma se mi togli quello che mi avevi promesso con la scusa dell’escursione (con quella stagione schifosa che avete lì, di quale escursione parli, Theresa?) io divento cattiva. Una madre italiana incazzata che urla e gesticola e dice cose volgari e parla perfino dei soldi che ha speso. Comunque io adesso vado a fare una doccia per calmarmi, e tu invece, Theresa?

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.