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Storia della banca-forziere Cesare Ponti

Mariarosaria Marchesano

Cassaforte delle famiglie milanesi dal 1871, è stata successivamente inglobata da Carige

Nel 1871, anno in cui Roma veniva proclamata capitale d’Italia e in Europa muoveva i primi passi la Terza Repubblica francese, la città di Milano, che nella cerchia dentro i Bastioni contava poco meno di 200 mila abitanti, conosceva un periodo di grande crescita commerciale e industriale. Nella primavera di quell’anno l’imprenditore tessile Cesare Ponti aprì in piazza Duomo un ufficio di cambiavalute che a inizio Novecento si sarebbe trasformato in una banca, anzi in una banca di famiglia come venivano definite allora le istituzioni finanziarie che custodivano la ricchezza delle grandi famiglie (altri esempi sono state le banche Manusardi, Rasini, Belinzaghi, la Cassa Lombarda: tutti nomi che oggi dicono poco al grande pubblico ma che hanno contribuito a dare impulso alla vita economica milanese).

 



  

Oggi si chiamano “private bank”, secondo il linguaggio della finanza anglosassone che, però, su come gestire i patrimoni dei privati ha poco da insegnare all’Italia: visto che la piccola Banca Cesare Ponti di Milano rappresenta oggi uno dei pilastri su cui è stato costruito il piano di rilancio del gruppo Carige, per il quale si prepara un testa a testa tra due grandi fondi americani, Blackrock e Varde. Carige ha acquisito il controllo della Cesare Ponti direttamente dalla famiglia dei fondatori nel 2004, quando il deus ex machina dell’istituto ligure era Giovanni Berneschi, il quale non badò a spese. Per assicurarsi il 51 per cento dell’istituto di Piazza Duomo pagò un prezzo che fu stabilito sulla base di una valutazione complessiva della banca meneghina pari a circa 60-65 milioni di euro. Una cifra che suscitò qualche stupore tra gli addetti ai lavori.

 

Ma, in fondo, si trattava della cassaforte che custodiva, e custodisce, i tesori della borghesia milanese, un business molto redditizio e per il quale occorre esperienza e capacità di relazionarsi in ambienti che considerano la discrezione una priorità assoluta. Banca Cesare Ponti, che ancora oggi vede alla presidenza il pronipote del fondatore che porta lo stesso nome del bisnonno, vanta un’antica tradizione e avrebbe potuto replicare lo stesso modello a Genova. Secondo Berneschi valeva la pena fare uno sforzo. Così, prima fu rilevato il pacchetto di controllo e negli anni successivi il 100 per cento del capitale. Complice anche la crisi finanziaria globale, però, l’attività della piccola banca lombarda ha conosciuto fasi alterne e nel 2014 i vertici di Carige decisero di venderla per poi cambiare idea subito dopo aver sondato il mercato. Come emerge da documenti ufficiali, il suo valore era crollato a 35,6 milioni di euro in seguito alle valutazioni che erano state fatte dai potenziali acquirenti (la romana Banca Finnat era uno dei soggetti più interessati).

 

Insomma, vendere poteva voler dire registrare una minusvalenza, così l’antica istituzione finanziaria fu completamente inglobata nel gruppo Carige che, nel frattempo, aveva imboccato la strada della profonda crisi finita con il commissariamento da parte della Bce lo scorso gennaio. In anni più recenti nessuno aveva più sentito parlare della Cesare Ponti, che conserva il suo ufficio centrale sotto i portici di Piazza Duomo, all’angolo con via Mengoni, nello storico immobile di proprietà del Comune di Milano dove il bancone dei cambi in mogano intarsiato è uguale a quello che veniva utilizzato 140 anni fa.

 

Ma una storia così antica, fatta di competenze e rapporti personali con famiglie benestanti tramandati attraverso generazioni, deve avere convinto i tre commissari di Carige, Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lener, a costruire intorno alla piccola banca un polo della gestione patrimoniale con un obiettivo ambizioso: passare da 13 miliardi di masse amministrate oggi a 18 miliardi nel 2023, aumentando il numero dei clienti da 64 mila a 67 mila e aprendo una decina di nuove sedi in tutta Italia (quella di Genova è stata inaugurata lo scorso 21 marzo). Nella visione dei tre commissari il business del “private banking” è, dunque, centrale del piano per far nascere la “nuova Carige”. E l’interesse di due fondi di investimento già presenti a livello globale nelle gestioni patrimoniali e nei servizi finanziari, come Blackrock e Varde (i quali, però, non hanno ancora presentato un’offerta formale) farebbe pensare che la strada è quella giusta, anche se questi stessi fonsi sono ingolositi anche dal pacchetto di 2 miliardi di non perfoming loan che fa parte della partita. 

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