Palazzo Chigi (foto LaPresse)

Tasse e bontà

Mariarosaria Marchesano

La capitale del Terzo Settore, l’Ires e il governo. Oggi a Roma. Che cosa c’è davvero in ballo. Numeri

"Sogno, dopo la guerra, di potermi dedicare a un’opera di Carità". Così scriveva don Carlo Gnocchi, originario di San Colombano al Lambro, in provincia di Milano, mentre viveva la tragedia della ritirata di Russia come cappellano militare. E’ durante questa esperienza che pregava: “Desidero una cosa sola: servire i suoi poveri”. A 70 anni di distanza, la Fondazione Don Gnocchi è una delle maggiori realtà del terzo settore in Lombardia, insieme con l’istituto San Raffaele, lo Ieo e i diversi istituti di ricerca contro il cancro, l’Opera San Francesco e tantissime altre organizzazioni e fondazioni, di carattere sociale, culturale, scolastico e universitario, che ogni anno generano in questa regione il 27 per cento dei 63 miliardi di ricavi prodotti dal comparto a livello nazionale, cifra arrotondata per difetto visto che l’ultima rilevazione disponibile risale al 2011. Ai poveri e ai senza tetto, oggi il governo gialloverde tende una mano con il reddito di cittadinanza, ma con l’altra mano nega sostegno alla medesima fascia sociale imponendo una maggiore tassazione che indebolisce tutti quegli enti, associazioni e organizzazioni che sui territori spesso sono gli unici a prestare servizi di assistenza e mutuo soccorso (in Lombardia ce ne sono 55 mila, un sesto del totale nazionale, che però producono quasi un terzo del valore complessivo).

 

In realtà, quella della tassa sulla bontà è un pasticcio burocratico-ideologico, dal quale ora il governo Conte vorrebbe uscire, anche se non sa ancora come. Proviamo a spiegare. Per far quadrare i conti della manovra economica, Palazzo Chigi ha raddoppiato le imposte sugli utili che da questi enti sono realizzati (l’Ires è stata portata dal 12 al 24 per cento con efficacia dal 1 gennaio 2019). Se sono senza scopo di lucro, sembrano aver pensato al governo, allora sarà giusto tassarli. C’è voluta la precisazione della portavoce del Forum del Terzo Settore, Claudia Faschi, per chiarire alla vice ministra Laura Castelli che “le organizzazioni non profit non possono in alcun modo distribuire gli utili. Essi devono essere interamente reinvestiti nell’attività”. A quel punto è stato chiaro a tutti che tassare gli utili delle organizzazioni di volontariato alla stregua di qualsiasi impresa speculativa equivale a ridurre le risorse per il reinserimento dei disabili, meno attività di contrasto della povertà minorile, meno attività culturali nelle periferie emarginate, detto in altri termini: meno sociale e più povertà. Fatta la gaffe, incassate le lamentele del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno, e subìta la pioggia di critiche e di lettere di protesta – il governo ha convocato il Forum del Terzo Settore per il 10 gennaio a Palazzo Chigi per avviare un dialogo che avrebbe dovuto precedere il provvedimento. “Ci aspettiamo un esito positivo della vicenda Ires agevolata e una accelerazione del completamento della riforma del terzo settore che necessita ancora di molti provvedimenti attuativi”, spiega al Foglio Claudia Fiaschi, che registra la disponibilità politica dell’esecutivo ma non si fa troppe illusioni perché sa bene che per annullare il provvedimento occorre trovare una copertura di quasi 500 milioni (sarà inserito nel ddl Semplificazione?). Non è un caso che il Forum insista sul perfezionamento della riforma varata dal governo Renzi nel 2016.

 

Qualche distorsione nel sistema esiste. Associazioni che con fini sociali non hanno nulla a che vedere – comprese quelle per scambisti – godono del cinque per mille per il semplice fatto di appartenere alla categoria del non profit. La riforma aveva previsto l’attivazione del registro unico attraverso cui rendere pubbliche l’identità di tutti i soggetti con i loro bilanci sulla falsa riga di quanto fatto in Gran Bretagna con la Charity Commission. “Piuttosto che aumentare la trasparenza, il governo ha preferito aumentare le imposte a chi fa volontariato e assistenza sociale dimostrando incompetenza e avversione verso quei corpi intermedi della società civile che dimostrano autonomia e capacità organizzativa”, commenta Riccardo Bonacina, giornalista e fondatore del portale Vita. Secondo Giorgio Fiorentini, docente di management delle imprese sociali alla Bocconi, “Sarebbe opportuno entrare nel merito quantitativo di tutta questa vicenda”. Che cosa vuol dire esattamente? Un studio di fattibilità, seppure in modo approssimativo, potrebbe rivelarsi utile per dimostrare il contributo economico – in termini di minor costi sociali e sanitari – fornito dalle realtà del terzo settore. Ci sono, ad esempio, ricerche di livello internazionale che dimostrano come la donazione del sangue contribuisca al controllo delle spese sanitarie da parte degli stati perché consente di prevenire alcune patologie. Questo potrebbe dissuadere qualsiasi governo dall’emanare provvedimenti penalizzanti nei confronti del terzo settore che, al contrario, meriterebbe ulteriori incentivi fiscali per funzionare ancora meglio”, conclude l’economista.

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