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A spingere Salvini a rompere potrà essere la manovra (la prossima)

Valerio Valentini

I leghisti cercano un incidente sul reddito di cittadinanza. L’urgenza di accelerare la crisi: staccare la spina subito, anche prima delle europee

Roma. A seconda del leghista col quale si parla, viene da raffigurarselo “una sfinge” o “un paraculo”. Ma in fondo la sostanza del discorso è la medesima: capire davvero cosa abbia in mente, Matteo Salvini, lui che “ha sempre il piede in due scarpe”, è impossibile perfino per chi gli sta vicino. Perfino, dicono, per Andrea Paganella, il suo capo segreteria al Viminale che è, di fatto, la sua ombra, e che in questi giorni confessava agli amici che lo interpellavano che sì, anche Matteo si era convinto. O meglio era stato convinto. Dunque “rottura imminente”, si garantiva.

 

Questi, d’altronde, erano i pronostici che almeno un paio tra ministri, esasperati dalle continue tensioni coi grillini, andavano facendo già da giorni, se è vero che negli scambi di auguri intercorsi tra alcuni di loro, per augurarsi un sereno 2019, si scrivevano messaggi del tipo: “Sarà un anno pieno di elezioni... politiche”. Martedì perfino Lorenzo Fontana dava per inevitabile, se non doverosa, la capitolazione: “Così è impossibile”, è sbottato, quando ha scoperto che gli stanziamenti previsti per le pensioni di disabilità e per le famiglie numerose, nel reddito di cittadinanza scritto dai grillini, non erano quelli promessi. (Questione peraltro ancora tutta da risolvere, dal momento che lo staff di Fontana non ha ancora ricevuto alcuna risposta dagli uffici legislativi del ministero del Lavoro).

 

E allora? “E allora – diceva poi chi aveva parlato col ministro della Famiglia, braccio destro di Salvini – salta tutto entro tre settimane. Anche Matteo lo ha capito”. Era insomma come se quel comitato antigrillino che circonda il segretario della Lega si andasse mano mano affollando, cingendo Salvini in un assedio sempre più stretto. Poi però ecco che il capo sparigliava tutto: quando ogni cosa sembrava segnata, lui virava d’improvviso (“Tutto tranquillo, si va avanti cinque anni”), lasciando disorientati anche i suoi fedelissimi. E così, forse per la prima volta dall’avvento del grilloleghismo, quelli tranquilli e serafici nell’affrontare le tensioni di giornata, tra giovedì e venerdì, erano i vertici del M5s. “Salvini si è arrabbiato perché sui migranti lo abbiamo messo all’angolo, tutto qui”. Pure Luigi Di Maio arrivava a tranquillizzare i suoi: “Alla fine, la quadra dobbiamo trovarla io e Salvini”, diceva. Come a invitare a non cedere ad alcuna provocazione.

 

E di nuovo, allora, tutto si placava, la tensione un’altra volta stemperata. “Abbiamo portato a casa la manovra, figuriamoci se rompiamo per le trivelle”, ripetevano ieri sera nel M5s. E però potrebbe essere proprio la manovra, adesso, il motivo per piegare definitivamente le resistenze di Salvini. Non quella approvata a fine dicembre, però. Semmai, la prossima. Quella, cioè, che partirà – già lo si sa – con un passivo di 23 miliardi: a tanto, infatti, ammontano le clausole di salvaguardia per il 2020, aumentate di 9,4 miliardi rispetto a quanto già preventivato, dopo la trattativa con la commissione europea. Senza contare, poi, il rischio che la crescita, nel corso dell’anno, potrebbe essere assai più bassa – di quasi mezzo punto di pil, secondo statistiche che circolano anche a Palazzo Chigi – di di quel più 1 per cento messo in manovra.

 

Ecco, allora, l’urgenza di accelerare la crisi: rompere subito, anche prima delle europee, cercando un incidente proprio sulla misura simbolo del M5s. Anche a questo servono, d’altronde, le nuove rivendicazioni del Carroccio sul reddito di cittadinanza: una bomba pronta a esplodere, alla bisogna, di qui a qualche settimana. Cambierebbe poco, in verità, perché se anche i leghisti ottenessero davvero quello che alcuni di loro auspicano – crisi, scioglimento immediato delle Camere, elezioni anticipate o in concomitanza con le europee – poi comunque, in caso di nuova vittoria, si troverebbero costretti a dovere elaborare una legge di Bilancio dolorosissima. Ma almeno, se questa prospettiva si realizzasse, all’incasso elettorale Salvini potrebbe andare subito, prima di rendersi autore della stangata dell’anno prossimo.

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