Porta Nuova, Milano. Foto LaPresse

Il profilo di Milano che non sarebbe come è senza le idee di Ligresti

Nei primi anni Ottanta il "re del mattone" ha smosso una città paralizzata e paurosa, lasciando un segno nella storia e anche nella geografia

Salvatore Ligresti, l’imprenditore scomparso martedì scorso, lascia un segno nella storia e anche nella geografia di Milano. Se oggi la metropoli ambrosiana presenta un profilo nuovo, quello dei grattacieli di Porta Nuova, è dovuto (anche se non molti amano ricordarlo) alla sua fiducia nel futuro della città che lo aveva accolto. Dopo i cupi anni di piombo, Milano visse una stagione complessa, in cui le ferite di una deindustrializzazione immanente si accompagnavano alle speranze di un terziario rampante. Ligresti puntò sulla speranza, credette che quella metamorfosi, che molti deprecavano, avrebbe creato nuove opportunità, e naturalmente da imprenditore, prima edile e poi finanziario, cercò di approfittarne. Aveva un modo tutto suo di ottenere il biglietto d’ingresso in una società degli affari che respingeva i nuovi venuti. Cominciava sempre con piccole partecipazioni, così come aveva cominciato a costruire il suo impero immobiliare con operazioni apparentemente modeste di compravendita. Arrivò a essere considerato “il re del mattone” e a entrare nel salotto buono di Enrico Cuccia, il che gli procurò invidia e anche repulsione, oltre a vari incidenti giudiziari.

  

La sua forza iniziale, la concezione quasi familistica dell’attività d’impresa, finì col capovolgersi nel suo limite principale, che lo portò alla fine a essere estromesso prima dall’impero immobiliare e poi da quello assicurativo. E’ presto per tracciare un bilancio di un’attività così complessa e controversa, ma nel momento in cui oltre alla sua carriera si conclude anche la sua vita sarebbe giusto dare un’occhiata al nuovo profilo di Milano e sentire che qualcosa del suo spirito avventuroso si intravede tra le sagome dei grattacieli. Quei grattacieli, come le costruzioni della nuova Fiera, sono il prodotto di una nuova capacità di Milano di inserirsi nei circuiti internazionali, di voler vivere appieno l’avventura e il rischio della globalizzazione. C’è una dissonanza tra la personalità riservata e, in un certo senso, provinciale di Ligresti e l’orizzonte apertissimo nel quale ha voluto e saputo giocare le sue partite imprenditoriali. Quello che però lo ha caratterizzato è la scelta di agire sempre in prima persona, sia quando entrava negli uffici dell’amministrazione municipale per trattare quella che fu definita con disprezzo “l’urbanistica contrattata”, che però fu la chiave per sbloccare una situazione che sembrava destinata alla paralisi. Qualche volta per far girare la chiave fu usato del lubrificante non proprio legittimo, e di questo Ligresti fu chiamato a pagare le conseguenze, ma la leggenda nera dell’imprenditore “mafioso” perché siciliano non ha alcuna base.

  

La sua eredità ora si confonde con quelle dei tanti altri che hanno promosso la ripresa di Milano, il suo segno specifico si stempera in un processo che è diventato corale e che a un certo punto ha potuto (in qualche caso voluto) fare a meno di lui. Va ricordato, però, che per smuovere la Milano paralizzata e paurosa dei primi anni Ottanta ci voleva coraggio determinazione e spregiudicatezza e che di queste doti Salvatore Ligresti era davvero molto dotato.

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