Salvatore Ligresti (foto LaPresse)

Vita e grandi opere di don Salvatore Ligresti (quasi) sempre salvato

Stefano Cingolani

Con lui se ne è andato uno degli ultimi esponenti del vecchio establishment, un personaggio cruciale negli snodi fondamentali tra potere economico e politico dell’Italia che non c’è più

Con Salvatore Ligresti se ne è andato uno degli ultimi esponenti del vecchio establishment, un personaggio cruciale negli snodi fondamentali tra potere economico e politico dell’Italia che non c’è più. Scandali, pasticci, imbrogli hanno segnato il collasso dei suoi affari a cavallo tra finanza, assicurazioni, edilizia; ma la realtà è che anche quell’impero di carta e mattoni è stato travolto dalla grande crisi. Salvatore di nome e di fatto, ma anche salvato in un continuo gioco di specchi e di scambi che rappresenta perfettamente il capitalismo italiano. Ha lasciato una montagna di debiti e insieme opere come Citylife che hanno cambiato il volto di Milano.

 

Tutti i suoi molti mestieri hanno contribuito alla caduta di Ligresti, a cominciare dalle assicurazioni, attività divisa in due grandi compagnie, la Fondiaria-Sai e la Milano, più tante partecipazioni (Mediobanca, Pirelli, Alitalia, Impregilo, Gemina cioè Aeroporti di Roma, Rcs). Il “signor 5 per cento”, così lo chiamavano a piazza Affari. Nemmeno il cemento armato si è dimostrato solido come don Salvatore sperava quando la bolla è scoppiata. Come molti suoi colleghi, ha venduto con una mano comperando con l’altra, spostando gli utili in alto e i debiti in basso nella lunga catena di comando: con lui erano coinvolte tutte le grandi banche, Unicredit, Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Banca Popolare di Milano, Cariparma.

 

Quando ancora lo chiamavano Totò ed era snobbato dal club dei poteri forti, Ligresti incontrò Cuccia all’aeroporto di Fiumicino, aspettando il volo Alitalia per Milano. Raccontava ai pochi intimi: “Cominciammo a parlare e abbiamo fatto subito amicizia”. Nato a Paternò, in provincia di Catania, viene mandato a studiare ingegneria a Padova. Il fratello Antonino, medico, ha costruito un piccolo regno di cliniche private. Totò, invece, va a Milano e si butta sull’edilizia. Qui incontra un compaesano, Michelangelo Virgillito il quale si era arricchito prima con le sale cinematografiche poi durante la guerra comprando terreni e case lasciati dai milanesi. Nella seconda metà degli anni ’50 scala la Liquigas che poi lascia a Raffaele Ursini il quale fallisce e deve fuggire in Brasile. Tra i rottami della Liquigas c’è la Sai, società di assicurazioni ex Fiat, della quale prende il controllo Ligresti e Cuccia lo arruola nella sua battaglia contro Michele Sindona. Ciò cementa quel rapporto privilegiato insieme al fatto che la compagnia detiene il 7% di Euralux, ovvero la chiave per aprire il forziere Generali. Insomma, l’eterno triangolo.

 

Gli anni ’80 portano il salto di qualità. C’è l’ingresso nella Cir di Carlo De Benedetti e poi c’è Bettino Craxi, infine Silvio Berlusconi. E’ don Salvatore ad accompagnare il capo del Psi in Mediobanca per assicurare l’appoggio alla privatizzazione dell’Iri pilotata da Cuccia contro Romano Prodi allora presidente dell’Istituto. Al culmine del successo, arrivano anche le prime disavventure giudiziarie e su Ligresti calano sospetti di mafia che si dimostrano infondati. Poi scoppia Tangentopoli: gli arresti nel 1992 e nel 1993, la prigione in cella con un tossicodipendente, la condanna scontata con l’affidamento ai servizi sociali.

 

Nel 2002 Ligresti prende la Fondiaria dalla Montedison, sotto la regia della solita Mediobanca (guidata però da Vincenzo Maranghi) che non vuole finisca nelle mani della Fiat. Nel 2004 don Salvatore entra anche in via Solferino nel salottino del Corriere della Sera. In Mediobanca incrocia Bolloré il quale sostiene la compagnia francese Groupama che vuole acquisire il 17% di Premafin. E cominciano le ultime turbolenze. Nel 2012 il gruppo è sull’orlo del collasso. Ligresti è nelle mani di Mediobanca e consegna un foglietto ad Alberto Nagel, amministratore delegato della banca d’affari con le sue condizioni per garantire la famiglia affinché approvi il passaggio della Sai a Unipol. Non è un bel vedere e l’ultima disperata battaglia si trasforma in una disperata sconfitta. A perdere, però, insieme a lui è quella che un tempo si chiamava la Galassia del Nord.