La presentazione da parte del neo Presidente Attilio Fontana della nuova Giunta regionale (foto LaPresse)

La prima grana di Fontana è femminile

Paola Bulbarelli

Quote rosa, ricorsi, litigi (ma sono più cose di partito). Le guerre di donne in Regione Lombardia

L’articolo 11 dello Statuto della Lombardia lo dice chiaro: “La Regione riconosce, valorizza e garantisce le pari opportunità tra uomini e donne in ogni campo, adottando programmi, leggi, azioni positive e iniziative atte a garantire e promuovere la democrazia paritaria nella vita sociale, culturale, economica e politica”. Cui seguono altri due commi che trattano di “equilibrio della rappresentanza di donne e uomini negli organi elettivi”, tanto che “la legge regionale promuove condizioni di parità per l’accesso alle cariche elettive” e che “la Regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo”. Non c’è scritto il 50 per cento di quote rosa (persino il Rosatellum prevede che almeno il 40 per cento delle candidature debbano essere femminili, ma non garantisce della loro elezione) ma è sufficientemente chiaro. Tanto che la nuova legislatura targata Fontana non è ancora partita, e già sta bussando alla porta un ricorso post pasquale contro una Giunta fresca di conio ma ritenuta dai ricorrenti illegittima (16 assessori di cui 11 uomini 5 donne, più 4 sottosegretari uomini), un documento confezionato ad hoc da Angela Ronchini, presidente dell’associazione Articolo 51 Laboratorio di Democrazia paritaria e da Donatella Martini di DonneinQuota che già nel 2012 avevano fatto ricorso contro la Giunta Formigoni per gli stessi motivi. “E’ evidente che siamo in presenza di un pervicace e strumentale maschilismo politico, che sfocia nella discriminazione di genere delle istituzioni lombarde”, dicono a gran voce. In effetti ci sono due leggi regionali che dicono chiaramente che sotto il 40% di presenze femminili si scioglie la Giunta. Angela Ronchini viene da Forza Italia (“ma da quando c’è la Gelmini non mi chiamano più a nessuna riunione”). E’ una signora ricchissima che ha speso quasi centomila euro per le sue azioni (“chissenefrega pur di portare avanti le mie battaglie”). Con i suoi avvocati sta preparando una lettera al presidente Fontana e “nel giro di un mese causa burocrazia, sarà pronto il ricorso”.

 

Il tema della parità mette d’accordo tutti, dalla destra alla sinistra estrema, fin dai tempi di Formigoni, ma si mescola ad altre partite più squisitamente politiche, quando non personalistiche. E comunque promette di infastidire pure Fontana, e soprattutto la sua maggioranza. “Alle Pari Opportunità, che ora si chiamano politiche di genere, e che sono servite a tutto fuorché a noi donne – continua Ronchini – è stata messa una rappresentante senza esperienza e in coda alla famiglia e alla genitorialità ,altro tema che attaccheremo. Questa giunta è discriminazione di genere da ogni parte la guardi. Cercheremo di contattare la consigliera di parità nazionale che nei casi dei comuni aveva addirittura consigliato una diffida da parte del prefetto”. La “rappresentante senza esperienza” in questione è Silvia Piani, 31 anni, della Lega. E più che “discriminazione di genere” è evidente che si è trattato di manueale Cencelli in formato Pirellone. Ci sono le quote rosa, ma ci sono pure le quote partito, quelle territorio e quelle correnti. Ma Ronchini è una guerriera che si sceglie bene i suoi alleati. “Sarà impugnata la composizione della giunta come fu fatto con le Giunte Formigoni – spiega l’avvocato Massimo Clara già uno dei componenti che formavano la rosa dei legali nei casi precedenti – non c’è una percentuale chimica che dica 50/50 però la giurisprudenza amministrativa e in particolare il Consiglio di Stato ha applicato il criterio del 60/40 che soddisfa la previsione di una composizione paritaria, qui violata. Anche Beppe Sala in Comune si è ritenuto vincolato a un equilibrio di genere tanto che l’assessore Carmela Rozza è stata sostituita con un altra donna”.

 

Da una parte c’è dunque la questione di principio. Per Carmen Leccardi, professore ordinario di Sociologia della cultura presso il dipartimento di Sociologia di Milano-Bicocca, già prorettore ai problemi di genere e alle pari opportunità, “questo sminuire le donne deriva da una visione che chiamerei androcentrica. Nella vita politica e dei partiti, c’è una costante sottovalutazione delle donne e la politica è la punta dell’iceberg di questo mismatch tra le competenze, le visioni, i saperi delle donne e le istituzioni”. E dall’altra c’è la politica, la sua componente di rivalità interne. Come la faccenda di Silvia Sardone, che ha aperto un parapiglia. Quasi dodicimila voti, ma per lei la porta della Giunta è stata ermeticamente chiusa. Dicono sia una lotta tra donne, tutte dello stesso partito, Forza Italia. “Una grande ingiustizia – dice lei – il partito ha rinunciato a un assessore pur di non averti, mi hanno riferito. Ho preso atto. Chiedo spiegazioni sia privatamente che pubblicamente e la risposta è che un giorno mi saranno date. In un partito che crolla una figura che cresce usando le scale e non l’ascensore non va bene. Che ci sia invidia femminile lo penso anch’io”. Così sta diventando la paladina degli scontenti di FI, le chiedono di essere interprete di un più profondo disagio. Sardone ha trovato la solidarietà di Viviana Beccalossi, ex assessore al Territorio con Maroni: “Siamo davanti a una pagina politica che vede le donne pagare il prezzo più alto: l’impegno e il merito non contano più, le decisioni vengono prese in base ad altre logiche”. Eletta con molte preferenze, Beccalossi si è iscritta al Gruppo misto abbandonando Fratelli d’Italia, dopo un lungo scontro, tutto politico, con un’altra donna, Giorgia Meloni, iniziato ai tempi del referendum dell’autonomia. Niente assessorato nemmeno per lei. Quote rosa, lotte politiche.

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