La festa della diversità sessuale di Oaxaca, nel 2015. Foto di Secretaría de Cultura Ciudad de México via Flickr

Pur di farsi eleggere in quota rosa, 19 uomini si fanno passare per donne

Maurizio Stefanini

In Messico le tradizioni arcaiche creano un dilemma pol. corr.

Roma. Elezioni municipali a Oaxaca, Messico. Diciannove candidati nelle liste che la legge sulle quote rosa riserva alle donne sono in realtà uomini: l’articolo 16 lo consente, in omaggio alle più recenti teorie in materia di “transgender”. Ma, denunciano le stesse organizzazioni dei transgender locali, in realtà soltanto due di loro sono trans genuini. Gli altri 17 sono virilissimi politicanti, per lo più padri di famiglia con mogli e figli, che si sono auto classificati come trans solamente per poter riempire quei posti!

   

Accade a Oaxaca: 3,8 milioni di abitanti nel sud-est del Messico. Come per “Mexico”, la “x” nel nome in realtà si pronuncia con quella gutturale aspirata che in spagnolo moderno è invece più normalmente resa con “j”: un tocco di arcaismo di uno stato che fu culla delle antiche culture mixteca e zapoteca. Le tradizioni ancestrali sono tanto forti che tra i 570 municipi della regione di Oaxaca soltanto in 152 si vota con liste di partito. Negli altri 418, ai sensi delle leggi sulla tutela delle culture indigene, le autorità locali sono scelte secondo i sistemi tradizionali precolombiani: più o meno, assemblea di villaggio e alzata di mano. Alla tradizione precolombiana risale però anche la figura dei “muxe”: pronunciato “musce”, sono uomini che si vestono da donna e che come tali si considerano. Non solo la cultura zapoteca li accetta, ma nelle famiglie era considerata una fortuna averne uno, per la cura e attenzione con cui i muxe si occupano delle mamme anziane. Secondo le ricerche degli antropologi negli anni 70, almeno il 6 per cento dei maschi locali erano muxe, e la saldatura tra questa tradizione ancestrale e le più moderne mode del politically correct hanno resto facile l’approvazione di quella normativa che nell’Oaxaca ha portato a una legge sulle quote rosa all’apparenza tanto liberale.

  

Nell’occidente di oggi il consentire o meno a una persona di dichiarare un sesso diverso da quello biologico è diventato un tema di dibattito politico. Nell’Oaxaca, in teoria, la tradizione muxe dovrebbe consentire di ancorare la querelle su un sentiero più solido, dal momento che la figura corrisponde a un certo tipo di comportamenti che gli antropologi hanno da tempo classificato. Quando dunque si è saputo che ben 19 muxe si erano candidati, le associazioni della “categoria” si erano preparate a festeggiare. Quando però hanno visto i nomi, è venuta la doccia fredda. “Si è identificato che 17 delle 19 candidature approvate non formano parte della comunità transgender”, ha denunciato la leader muxe Naomy Méndez sul portale di notizie “Animal Politico”. “Solo abbiamo identificato Kristel Ramírez e Grecia Jiménez Osorio, che oltre ad autodefinirsi come muxe socialmente si presentano da sé con questi nomi e sono conosciute pubblicamente”. Da qui una denuncia alle autorità federali, che hanno avviato un’indagine.

  

Ma come si fa a contestare a un uomo di proclamarsi donna, se la legge lo consente? In effetti qui si era creata la strana situazione per la quale gran parte di queste candidature erano anonime. Sembra una contraddizione in termini, ma la legge elettorale consentiva appunto di presentarsi con un nome fittizio, celando le proprie generalità. E la gran parte dei padri di famiglia registrati come transgender per permettere il riempimento delle liste si erano appunto prestata in condizioni di anonimato. Le associazioni muxe hanno però ottenuto dalle autorità che “in quanto persone pubbliche” i candidati siano obbligati a “fare atti di campagna” e a “presentarsi davanti agli elettori”, mettendoci la propria faccia. E chi non avrà il coraggio di qualificarsi pubblicamente come trans, non solo sarà costretto a ritirare la candidatura ma verrà pure sanzionato.

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