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Gran Milano

La compagnia del secondo anello regala a Milano uno stadio brutto e non funzionale

Maurizio Crippa

E’ arrivata la grida manzoniana della Soprintendenza. In contraddizione con vari pareri precedenti, dice che una parte del Meazza è un bene intoccabile

Il Circo Massimo era il più grande stadio di Roma, ora è un pratone brullo e la Soprintendenza dell’Urbe vuole impedirci anche i concerti. Finirà così anche il vecchio totem di cemento di San Siro, il Meazza? Detto fatto, anche la Soprintendenza di Milano ha profetato: pollice verso. Che significa, però: lasciatelo così com’è (al massimo diverrà un rottame urbano come il Flaminio, per il quale la burocrazia chiede addirittura la conservazione della “percezione dello spazio nella sua interezza”). Dopo lunga attesa, con lingua di legno la Soprintendenza ha oracolato: “Con riferimento alla nota del Comune di Milano con la quale l’Ente chiede questa Soprintendenza una valutazione in via anticipata dell’interesse culturale del secondo anello dello stadio (il resto s’era già stabilito che non presenta interesse, ndr), che acquisirà il requisito della vetustà (> 70) prima della prevista fase di demolizione e della cerimonia di inaugurazione di Milano-Cortina Gennaio 2026, si comunica quanto segue”.

E questo è quanto la grida manzoniana comunica, dopo aver ricordato che la Commissione regionale per il Patrimonio culturale della Lombardia aveva dato parere negativo alla richiesta di vincolo culturale del primo anello dello stadio (nel 2019) con la seguente motivazione: "Trattasi, allo stato attuale, di manufatto architettonico in cui le preesistenze dello stadio originario del 1925-’26 e dell’ampliamento del 1937 risultano del tutto residuali rispetto ai successivi interventi di adeguamento e ampliamento, realizzati nella seconda metà del Novecento e pertanto non sottoposti alle disposizioni”. E continuava la Commissione: “Le stratificazioni, gli adeguamenti e ampliamenti fanno dello stadio – come oggi percepibile nel suo insieme – un’opera connotata dagli interventi del 1953-’55, oltre a quelli del ’90, nonché dalle opere successive al Duemila, ovvero un’architettura soggetta a una continua trasformazione in base alle esigenze legate alla pubblica fruizione e sicurezza e ai diversi adeguamenti normativi propri della destinazione ad arena calcistica e di pubblico spettacolo”. L’esito negativo, dice però ora la Soprintendenza retta da Manuela Carpani, “riguardava, dunque, soltanto le strutture del primo anello, escludendo, per mancanza dei requisiti di vetustà, le strutture del secondo e del terzo anello, e della copertura”. Diversamente da quanto riportarono nel 2020 vari giornali, i Comitati tecnico-scientifici dei Beni culturali, incaricati di ulteriore valutazione, non avevano “convenuto” sulla necessità di porre un “vincolo storico relazionale” per il Meazza. Invece, si conformavano a quanto detto in passato dalla Soprintendenza: “Se è indubbia la rappresentatività di San Siro (…) un’azione ‘conservativa’ sarebbe poco coerente con i caratteri e valori dell’arena civica da preservare, a parere di questa soprintendenza, non nei caratteri assunti dal manufatto attuale ma nella collocazione urbana nella stessa area”. In sostanza: l’importante che un (nuovo) stadio rimanga a San Siro.

Poi, tra corsi e ricorsi, e il suggerimento furbesco di Vittorio Sgarbi, è arrivata la richiesta di far valutare alla Soprintendenza un vincolo per il solo secondo anello, in attesa che nel 2025 (sei anni dopo la proposta di fare uno stadio nuovo, a Madrid in metà del tempo è nato il nuovo Bernabeu) scattasse quello di vetustà. E la grida della Soprintendenza ha stabilito che, nonostante il giudizio “di non procedibilità dei profili di tutela storico relazionale” della Commissione regionale, le cose possono essere messe anche diversamente. Così: “Nel 2026, in occasione delle ipotizzate fasi delle ipotizzate fasi di demolizione dello stadio, la struttura del secondo anello (l’unica al momento a non essere stata valutata), ricadrà nel regime di tutela de iure dello stadio. (…) Pertanto si dovrà procedere con una verifica dell’interesse culturale”. E, vista “l’eccezionalità che caratterizza il procedimento in itinere e delle esigenze di pianificazione da parte delle squadre e dell’amministrazione locale”, la valutazione viene elargita. Questa: “Questo Ufficio, viste le ricerche bibliografiche effettuate ed eseguito ulteriore sopralluogo (…) ritiene di potere comunicare, in via anticipata, l’impossibilità di negare la sussistenza di un interesse culturale semplice del secondo anello in vista della futura verifica”. Impossibilità di negare. Motivazioni? Una è prelevata di sana pianta da uno storico dell’architettura, non esattamente un esperto di impianti sportivi del terzo millennio, che scriveva oltre 30 anni fa: “Il secondo anello presenta una soluzione strutturale costituita da 132 portali che, coi relativi costoloni a sbalzo, costituisce l’ossatura che sostiene le gradinate, le scale, le rampe di accesso, i ripiani e le passerelle di servizio. Di particolare interesse è il disegno dei portali, che hanno la forma di due braccia tese in diagonale (l’una fuori del vecchio muro perimetrale dello stesso), denominate nel gergo di cantiere, rispettivamente, “elefante” e “giraffa”. Nella struttura le scale hanno uno sbocco a vomitorio, una componente dello stadio classico. La rilevanza architettonica del secondo anello risiede nella capacità (…) di “tradurre i vincoli tecnici in espressività quell’aspetto fortemente caratterizzato dalle rampe avvolgenti la costruzione in fasce plastiche di aggetti e rientranze e in alternanze di chiari e di scuri. Le stesse [rampe] assumono un suggestivo significato simbolico, portando la folla, vera protagonista delle architetture degli stadi, fin sulle pareti e trasformano le ordinarie murature in luoghi vissuti di percorsi dinamici”. Il bravo storico, forse al Meazza non ci va da decenni. La seconda motivazione è che “con la costruzione del secondo anello per San Siro, finalmente, si completa l’immagine di vero e proprio stadio, che non aveva mai posseduto dalle origini”. E “per quanto premesso, questa Soprintendenza ritiene che, per il secondo anello, possano sussistere i requisiti di interesse culturale semplice”. E tanti saluti a ciò che la sovrintendenza aveva condiviso in precedenza, con Comitati e commissioni, riguardo al famoso secondo anello: “Nella sua conformazione attuale, a seguito degli interventi per i Mondiali 90, ha perduto anche la visibilità che avevano le interessanti rampe elicoidali della fine degli anni Cinquanta”. Insomma la non esistenza di alcun manufatto architettonico di pregio da ammirare, ammesso e non concesso che il pubblico pagante preferisca guardare i vomitori che non le partite. Ieri il ministro Sangiuliano ha minacciato nuove pene contro i teppisti che hanno imbrattato la Galleria. Intanto, a poche centinaia di metri, la sua Soprintendenza faceva guai anche maggiori.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"