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Il folle vincolo sul Meazza

Sangiuliano, salva San Siro! (E Milano)

Uno stadio vuoto e due squadre in fuga. Ahiahi

Maurizio Crippa

L'esito del vincolo che renderebbe "intoccabile" lo stadio, ormai non più adeguato al calcio-business, sarebbe deleterio anche per la città e spingerebbe Milan e Inter a costruirsi propri impianti. Chi manterrà il vecchi stadio? Gli errori politici di Verdi e sinistra e i nuovi pasticci aggiuntivi di Sgarbi e burocrazie. Il ministro aiuterà la città?

Gentile ministro Sangiuliano, presti ascolto a questo appello e salvi San Siro, lo stadio Meazza, da un destino di grottesca inutilità; e ancor più salvi Milano dal danno urbanistico ed erariale a cui le scelleratezze dei suoi collaboratori e funzionari lo stanno condannando. Rifletta e capirà che vincolare, cioè rendere intoccabile, un catafalco di cemento armato destinato in tal modo a rimanere vuoto (un bidone costoso: dieci milioni l’anno solo di manutenzione) è una pazzia. Costringendo poi le due blasonate squadre a migrare in cerca  di impianti all’altezza. Ora il Pd di Milano accusa il suo governo, benché il pasticcio l’abbia fatto la sinistra. Ma vero è che Vittorio Sgarbi per posa da monello, e la sovrintendenza per cecità burocratica, stanno per trasformare un incubo in una catastrofe. Intervenga lei, ministro, non c’è altra via.

 

La storia la conosce, ministro Sangiuliano. Da quando nel 2019, ben quattro anni fa, Inter e Milan hanno presentato il progetto per un nuovo stadio – previo abbattimento o ridimensionamento e cambio di funzione del vecchio Meazza, ormai inadatto al calcio che conta, pasticcio architettonico senza padri né madri certe – si è scatenata la ridda strapaesana (altro che metropoli) dei passatisti finto-ecologisti (vada a vedere, ministro, se c’è un solo filo d’erba da salvare, in quella landa desolata d’asfalto che circonda lo stadio) e di comitati e intellò in maggioranza di sinistra per impedire non solo l’abbattimento, ma la costruzione di un nuovo impianto. Il Pd li ha coccolati, il Comune per prendere tempo chiese un parere alla Sovrintendenza. E già nel 2019 il Suo ministero dichiarò che non c’era materia per un vincolo. Se volete, abbattete. Del resto, lo hanno fatto a Wembley, a Madrid e ora a Barcellona.

 

Poi è arrivato il suo sottosegretario, il critico Sgarbi, il quale ora – mentre la decisione per un vincolo sembra certa – gigioneggia: “Ho vinto senza neanche combattere perché ero dalla parte giusta”. In terza persona: “Qualcuno a Milano ha detto che Sgarbi si stava occupando di cose che non lo riguardavano”. Sgarbi si è occupato, più che altro, di un tema che non conosce, il calcio: Contro un parere precedente, ha chiesto di apporre un “vincolo culturale”, anzi “relazionale”, ma forse ignora che il solo vincolo relazionale di uno stadio con la sua città è che ci si possa giocare al football. Per il resto il Meazza non riveste “interesse particolarmente importante”. E’ importante perché ci giocano Inter e Milan, come ha detto Beppe Marotta, se no niente. E’ come dire che una bottiglia di champagne è importante anche quando è vuota, è solo vetro. Ora la Sovrintendenza dovrà decidere. La verità è che il fu glorioso Meazza è oggi un orrendo catafalco di cemento armato, così brutto da non riuscire nemmeno a essere brutalista. Dai Mondiali del 1990 (33 anni) è inoltre deturpato dal terzo anello e dai piloni esterni. Tanto che persino i soloni della Sovrintendenza puntano a vincolare solo il secondo anello, con l’appiglio che, nel 2025, compirà 70 anni. Ma perché? Sgarbi è un agent provocateur, invece la sovrintendenza? Il Meazza è ormai un posto dove prendere una bibita durante l’intervallo è impossibile, quasi quanto fare pipì (e l’ambiente è anche più indecoroso). Non si può pranzare né fare shopping. Al tristo Museo non va quasi nessuno (provate con quelli di altre città europee). Il ceo dell’Inter Alessandro Antonello non ha più voce a furia di spiegare che “i fatturati da stadio dei top club europei si attestano sui 120/130 milioni, quelli di Inter e Milan sui 70”, proprio per la mancanza  di “corporate hospitality”. Ma di tutto questo la burocrazia dei beni culturali che ne sa? Ha detto lo sconsolato Beppe Sala – che però avrebbe dovuto prendere a calcioni la sua maggioranza tre anni fa,  invece di “stare ad ascoltare chiunque ha un tiramento” (cit. Guccini) – che col vincolo “il progetto di abbattere e ricostruire San Siro cadrebbe per sempre, con i due club che vedrebbero svanire tutti i loro progetti di sviluppo”. Come dire: saranno costretti a scappare. Il Milan nelle scorse settimane ha acquisito la maggioranza della società Sportlifecity che detiene i terreni di un’area a San Donato dove potrebbe costruire il suo stadio; nei giorni scorsi l’Inter  ha annunciato l’accordo con la Bastogi e Brioschi Sviluppo per “verificare la possibilità di realizzare uno stadio e alcune funzioni accessorie” a Rozzano. Milano resterebbe con uno stadio vuoto e senza squadre, un baraccone per farci suonare un volta l’anno i Coldplay (o al massino Springsteen, che San Siro lo adora). Ma per la maggior parte dell’anno se ne starebbe lì costoso, intoccabile e inaccessibile, circondato da un quartiere in degrado. Sala spera che quello di Milan e Inter sia un bluff, del resto soldi non ne hanno e alla fine potrebbero essere costretti a restare lì, nello stadio brutalizzato. Ma forse, con due stadi fuori dai confini di un Milanìn ridotto a una Ztl troppo larga, potrebbe nascere un finalmente un Milanòn, una metropoli allargata.

Caro ministro, Milano può salvarla solo lei.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"