Emilio Del Bono (Ansa)

Gran Milano

 Il Pd "attrattivo e flessibile" di Del Bono, con vista sulla Lombardia. Parla il sindaco di Brescia

Fabio Massa

"Non credo sia utile per i dem questa idea del piangersi addosso. Le primarie? Il metodo non è un problema. Il tema è la coalizione. Come accade in regioni ed enti locali, si possono costruire alleanze differenti da quelle nazionali", dice il primo cittadino, che sarà (forse) in corsa per le regionali

Non alza mai la voce, e procede tranquillo verso l’obiettivo dialettico e didascalico che si è posto. Se si dovesse descrivere l’eloquio di Emilio Del Bono, sindaco di Brescia – la Brescia in gran spolvero che in coppia con Bergamo sta per diventare Capitale della cultura – che sta per concludere il secondo mandato, si potrebbe paragonarlo a quello di un montanaro: passo regolare e resistente. Emilio Del Bono parla col Foglio in un momento particolare. La sua candidatura alle Regionali del 2023 (“che però non ho mai avanzato…”) per il centrosinistra (il Pd più chi ci starà) è infatti in forte rialzo dopo i risultati del 25 settembre. Beppe Sala, che è suo amico e un suo grande estimatore, ha dichiarato che lo incontrerà per capire le sue volontà.

Ma – come i montanari – Del Bono la prende alla lontana: passo lungo e ben disteso. “La mia valutazione politica del momento attuale del Partito democratico è uno scarso apprezzamento di questo approccio autodissolutivo. Non credo sia utile questa idea del piangersi addosso. Non ne capisco né il senso né l’utilità. Cercherei di evitare questa sindrome che sembra aver preso molti, nel dibattito attuale”. Orgoglio e in alto i cuori, dunque. “Noi siamo una grande forza politica. Adesso si tratta di riprendere il filo e di darci una prospettiva politica di respiro, ma partendo dal fatto che siamo una grande forza politica. E dobbiamo dirlo anche ai cittadini: riusciremo a essere una alternativa di governo autorevole e competitiva”. Quindi, niente cambio di denominazione sociale. “Cambiare il nome non credo serva a qualcosa. Il problema del Partito democratico è altro. E’ una questione di fascinazione, di posizionamento politico, e anche di densità emotiva che probabilmente manca. Bisogna rimettere un po’ di corrente calda all’interno del partito”. Viva.

 

E magari avere anche un po’ di chiarezza. Non a caso il sindaco di Bergamo Giorgio Gori ha lanciato più volte l’allarme Terzo polo: se continuano a essere distanti e opposti al Pd rischiano anche le maggioranze locali. Sicuramente quella di Bergamo, ma anche a Brescia. “Sulla questione del collocarsi più vicini al Terzo polo o al Movimento 5 stelle, possiamo dire che un conto è essere un partito che insegue gli altri e un conto è essere quello che attrae gli altri. Il dibattito non può essere andiamo con il M5s o con Italia viva/Azione. Il dibattito deve essere: come facciamo a essere attrattivi? Rendiamoci conto che una parte dei consensi di Italia viva e Azione sono arrivati da noi, dal centro-nord. Noi dobbiamo riattrarre questo consenso. Noi dobbiamo tornare a riflettere su di noi non avendo l’ansia di dare una risposta esaustiva su tutto ma di mettere in moto quella capacità di far percepire che siamo un bel cantiere interessante. Anche perché abbiamo la classe dirigente per farlo. E qui aggiungo un elemento critico e vero di prospettiva: il Pd ha vinto la sfida nei territori, da sempre; nelle municipalità siamo forti, e perché? Perché parliamo un linguaggio e parliamo di contenuti connessi alle attese e ai bisogni dei cittadini. Anche la gerarchia dei contenuti politici va rimessa in ordine”.

 

Tradotto: prima delle questioni di principio occuparsi del lavoro, delle famiglie, delle imprese. “Mettiamola così: i diritti sono cose importanti, fondamentali, ma vanno collocati nella loro posizione corretta. Il paese vuole sentirsi competitivo, vuole guardare al futuro, essere in crescita ma sostenibile. Essere un paese incluso, non trascinato. Il linguaggio e la fascinazione delle leadership dovrebbero mettere in campo alcune parole d’ordine chiare, perché adesso la destra ha la prova del governo e andrà in affanno”. 

Congresso e altri ostacoli


Intanto il Pd veleggia verso le Regionali che cadranno appena dopo un congresso lungo e sanguinoso come tutti i congressi a sinistra (a destra proprio non si fanno, e via). Ma come si fa, se a Roma decidono di andare da una parte e poi bisogna affrontare le elezioni locali? “Le alleanze non si fanno all’interno di un sistema rigido. Come accade nelle regioni ed enti locali, si possono costruire alleanze differenti da quelle nazionali. Il Pd è un grande partito popolare che ha caratteristiche di tenuta omogenee da nord a sud, ma il contesto politico al nord e al sud non è il medesimo. E anche le caratteristiche politiche di questo paese non sono identiche. Se vogliamo essere un partito nazionale, dobbiamo essere flessibili. Forse dovremmo imparare che non è in una gabbia ideologica che si risolvono i problemi”.

In segreteria intanto si discute tra campo parziale, con apertura prima di tutto al Terzo polo, e campo larghissimo, tentando di mettere insieme tutti (cosa assai ardua). “Iniziamo col dire che a livello regionale abbiamo un affaticamento dovuto al fatto che non è più un traino. La Regione ha sempre rappresentato un modello pubblico avanzato e ora invece è regressivo, frenante, resistente. Faccio esempi: in Lombardia sanno tutti che il trasporto pubblico non funziona. Ma qual è la prospettiva di una mobilità pubblica efficiente? La Lombardia purtroppo ha smarrito la sua funzione di coordinamento dei territori, e di programmazione integrata. La Lombardia è eccellente negli ospedali, ma è una pessima Regione nella medicina di territorio. La Lombardia non accompagna fino in fondo la richiesta di innovazione. Il Pd può dire cose importanti, e non credo che queste proposte non possano incrociare un interesse da parte dei nostri alleati. E’ chiaro che nel nord Azione e Iv parlano un linguaggio più simile al nostro. Dobbiamo dircelo. Il problema è che a volte siamo più preoccupati di costruire il marchingegno che di dire quel che pensiamo”. 

 

Sala ha detto che chiederà al sindaco Del Bono se è ancora intenzionato a correre in Lombardia. “Ringrazio Beppe, che è un amico. Ma io non mi sono mai candidato a fare il presidente della Regione. Ovviamente mi fa piacere che il mio nome sia stato suggerito da più persone e in particolare dai sindaci. Adesso mi sembra che la segreteria stia facendo il suo percorso e che stia mettendo le sue condizioni. Non posso neanche dire se faccio un passo avanti o un passo indietro, visto che non sono candidato. Seguo anche io questo dibattito. Mi interessa come ci arriviamo. Le primarie? Io ho le ho fatte nel 2013. Il metodo non è un problema. Il tema è la coalizione. Anche perché la vicenda nella destra non è mica finita”. Si riferisce alla frattura Moratti-Fontana? “La Moratti è stata usata, utilizzata per ragioni di immagine dalla destra nel momento più difficile della sua esposizione, la crisi nella campagna di vaccinazione, la pandemia, e quindi è evidente che si senta tradita. Ormai la situazione per loro è difficilmente ricomponibile. Quali siano le proposte dell’assessore per la Regione io non lo so. Devo dire che l’intelligenza politica della Moratti è stata di allontanarsi dagli scricchiolii regionali per andare verso lo Stato, con il generale Figliuolo. Dopodiché ritengo improbabile che Moratti sia candidata con noi, perché il suo percorso politico è stato speso nell’altro campo. Cottarelli? Lo considero una persona seria, di altissima qualità: ho stima di lui. E’ una bella figura”.
 

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