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GranMilano

Uno strano silenzio (poche le idee?) attorno al futuro della città

Mariarosaria Marchesano

Gli allarmi dallo studio di Assolombarda. Il settore servizi da reinventare, i dubbi sul rilancio fintech e l’immobiliare

Nel 2017, sull’onda della Brexit, si formò un movimento d’opinione per candidare Milano (con tanto di proposta di legge parlamentare) come nuova capitale della finanza europea. Qualche anno prima, nel 2015, Expo offrì l’occasione per gettare le basi del rilancio economico e urbanistico di Milano, sul cui “modello” Beppe Sala, che dell’evento mondiale fu il regista, costruì la sua candidatura a futuro sindaco. E’ poi successo che la proposta di Milano capitale della finanza si sia sgonfiata per una serie di ragioni, non ultima la migliore capacità di altre città europee come Parigi e Amsterdam di intercettare capitali e funzioni in fuga da Londra. Invece l’attrattività conquistata da Milano (già prima) e poi con Expo 2015 ha resistito per anni, ma ha cominciato a traballare con la pandemia.

 

In entrambi i casi, però, il futuro della città è stato al centro di un ampio dibattito che ha coinvolto il mondo politico e professionale e che ha ispirato una visione d’insieme. E adesso? L’emergenza sanitaria e il piano vaccini assorbono gli sforzi delle istituzioni e di futuro si sente parlare poco, persino le elezioni amministrative che in altri tempi avrebbero già scatenato un confronto sui programmi sembrano lontane. E’ come se il capoluogo lombardo dovesse espiare una qualche pena per avere subìto la peggior sorte nella crisi sanitaria che ne ha scalfito l’immagine di città efficiente e attraente per vivacità e qualità della vita. II problema, in realtà, è un altro e riguarda il fatto che il punto di forza della città – cioè quello di avere una vocazione terziaria – all’improvviso si è trasformato nel suo punto di debolezza nel contesto, però, di una regione che resiste al Covid-19 grazie alla sua solida tradizione industriale. La ricerca annuale di Assolombarda sull’economia regionale mostra con la crudezza dei dati questa verità, che era attesa ma non per questo meno allarmante: l’impatto della pandemia nel 2020 è stato a Milano più forte che nel resto della Lombardia e la parziale ripresa dei primi mesi di quest’anno, soprattutto delle esportazioni, è stata molto più veloce a livello regionale che nel capoluogo, che ha perso 5,7 miliardi di vendite all’estero. Su questo risultato ha inciso in modo determinante la grave contrazione subita dal sistema moda milanese (-18,3 per cento), dalle attività di accoglienza (-30 per cento), di ristorazione (-40 per cento) e dei servizi alle imprese. Inoltre, mentre l’industria manifatturiera della Lombardia ha subito un calo (-9,8 per cento) confrontabile con altre aree industriali europee – la tedesca Baden-Württemberg e la Catalogna – la provincia milanese ha fatto peggio sia come produzione che come esportazioni. Questi dati devono essere ancora digeriti e metabolizzati da un sistema che sta cercando di comprendere se Milano tornerà quella di prima oppure se la pandemia ha insegnato che moda, ristoranti e turismo sono piedi di argilla dell’economia metropolitana.

 

Quello che colpisce è che se ne parli troppo poco e si proceda in ordine sparso nelle iniziative, proposte e idee che pure circolano. Un esempio è il Salone del Mobile su cui pesa una grave incertezza come su tutti gli eventi fieristici che si terranno a Milano e da nessuna parte si leva una voce, un pensiero, un’idea capace di offrire una prospettiva che non sia un Salone più ristretto e digitale. Un altro esempio è il polo fintech che la Banca d’Italia ha affidato al vicedirettore Alessandra Perrazzelli. E’ una delle iniziative più concrete che sono state ispirate proprio dalla volontà di valorizzare una vocazione tipica milanese che è quella tecnologica e digitale, ma nasce anche per essere inquadrata in una funzione più ampia e storica della città come capitale finanziaria di cui al momento non c’è certezza. Sicuramente, la fusione tra Euronext e Borsa italiana proietterà Milano in un mercato di capitali di respiro europeo, ma su che cosa esattamente resterà di Piazza Affari ancora si discute in Parlamento e in una trattativa ai massimi livelli. L’unica cosa sicura, a quanto si vocifera, è che la parola Milano dovrebbe comparire nella nuova definizione di Borsa italiana che finisce sotto il brand di Euronext. Il che trova la comunità finanziaria milanese divisa tra chi pensa che sia una grande opportunità per allargare il giro d’affari e chi mette in guardia dal rischio che operatori esteri avranno voce in capitolo su decisioni di investimento italiane. Se sarà una Milano dei “capitali”, come recita lo slogan di un recente webinar di Class editori, ancora non si sa. Il sindaco Sala, che si ricandida, dice di essere pronto a investire in infrastrutture e residenziale un miliardo a fronte dei quattro o cinque che chiede al governo sul Recovery plan ed è chiaro che in mente ha il modello Expo 2015 che vorrebbe replicare con Milano-Cortina del 2026. E nel frattempo?

 

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