Piazza Gae Aulenti a Milano (LaPresse)

GranMilano

Il “new normal” ha già cambiato le nostre case e i nostri uffici

Mariarosaria Marchesano

Un nuovo modo di vivere che è destinato a incidere sullo sviluppo immobiliare e urbanistico: "Lavoratori e imprese sono consapevoli di come non si possa pensare di tornare a lavorare in modo tradizionale", dice il presidente dell’Osservatorio smart working del Polimi

In che modo la crisi sanitaria e lo smart working stanno cambiando il modo di abitare e di lavorare a Milano? A dispetto dell’immagine che la città sta dando di sé – quella di essere quasi imbambolata di fronte a uno stravolgimento della vita a tutti i livelli – emerge uno spirito di adattamento e la capacità di immaginare un nuovo futuro urbano in cui case e uffici, abitare e lavorare, non sono più due momenti della vita distinti, o meglio lo sono, ma il luogo può essere lo stesso, almeno per alcuni giorni della settimana. Secondo un sondaggio condotto dal Politecnico di Milano su un campione di 244 grandi imprese, l’89 per cento degli intervistati rivedrà i propri spazi con interventi strutturali o ne rivedrà l’utilizzo. Solo l’11 per cento delle aziende pensa che gli spazi non cambieranno e che si tornerà a lavorare in sede come prima.

 

Un “new normal”, una nuova normalità, sta prendendo forma come spiega al Foglio Mariano Corso, presidente dell’Osservatorio sullo smart working del Polimi. “Lavoratori e imprese sono consapevoli di come non si possa pensare di tornare a lavorare in modo tradizionale, né tanto meno continuare a tempo pieno da remoto – dice Corso – poiché entrambe le modalità comportano criticità e limiti che non sono sostenibili nel lungo periodo”. Secondo questa visione, il futuro del lavoro – soprattutto in una città come Milano che del new normal sta diventando il laboratorio – non potrà che essere ibrido, offrendo la possibilità di scegliere tra smart working e presenza in funzione degli obiettivi organizzativi e delle esigenze dei lavoratori. “Il tutto dovrà realizzarsi in un contesto nuovo e per certi versi incognito, in cui l’evoluzione delle tecnologie, comportamenti e stili di vita e modalità di relazione, ci porterà a vivere in modo sempre più sfumato la separazione tra ambienti fisici e virtuali”, prosegue Corso.

 

Il segnale più forte di questo cambiamento in atto arriva dal mercato residenziale. Al di là del fatto che, come conferma Mario Breglia di Scenari immobiliari, le previsioni per il 2021 indicano che il numero di compravendite in città sarà del 24,4 per cento più elevato rispetto al 2020, con un giro d’affari che raggiungerà 10,8 miliardi di euro, si registrano nuovi trend di domanda che fanno capire come le famiglie abbiano già metabolizzato una nuova idea di casa che prescinde da come si evolverà la crisi sanitaria. “Dal punto di vista qualitativo, la richiesta di appartamenti a Milano è molto cambiata rispetto agli anni che precedono la pandemia perché riflette le nuove esigenze che nel frattempo sono subentrate come quella di avere una stanza o anche solo uno spazio da dedicare all’attività lavorativa, che all'occorrenza possa trasformarsi in palestra e di sera magari anche in sala cinema”, dice al Foglio Lorenzo Pascucci, fondatore e ceo di Milano Contract District, una piattaforma di real estate e design che in questo momento rappresenta un osservatorio privilegiato su come si stanno evolvendo gusti e tendenze dell’abitare post Covid.

 

La società di Pascucci collabora a 94 cantieri aperti di nuova costruzione (soprattutto a Milano ma non solo) e ha in portafoglio 2.000 abitazioni  acquistate da operatori immobiliari e che saranno consegnate nei prossimi tre anni dopo averne rifinito gli interni e disegnati gli spazi grazie a un network di architetti. “Abbiamo dovuto ripensare ad alcuni dei progetti acquisiti adattandoli alla nuova domanda – dice Pascucci – ma è stato stimolante perché ci ha aiutato a mettere a fuoco un nuovo concetto di casa su cui stavamo lavorando già da tempo e cioè quella di un luogo capace di contenere i diversi aspetti dell'esistenza. Oggi le famiglie non solo chiedono appartamenti di dimensioni ampie e con più camere da letto, in previsione di attività lavorative e didattiche a distanza, ma non vogliono rinunciare a spazi esterni, mentre i single e le coppie esigono che monolocali e bilocali siano dotati di flessibilità, di capacità di trasformarsi a seconda delle ore della giornata”.

 

Ci vogliono case vive e mutanti, insomma, il che è esattamente l’opposto dell’abitazione minimal in cui si va solo a dormire dopo una giornata di lavoro di 12 ore e dove al massimo si trascorre il weekend quando non si parte per mare o montagna. Questo nuovo modo di vivere è destinato a incidere sullo sviluppo immobiliare e urbanistico di Milano che, sostengono sia Corso come studioso sia Pascucci come imprenditore, dovrebbe essere più “policentrica” in modo da soddisfare la crescente richiesta di vivere in quartieri che offrano residenze con sfogo all’aperto (terrazzi e giardini sono fortemente richiesti da quando è scoppiata la pandemia) e dove allo stesso tempo si possa studiare, lavorare e trascorrere del tempo libero senza doversi necessariamente spostare nel centro storico. Il che, a pensarci, non è molto distante dall’idea che aveva in mente il sindaco di Milano, Beppe Sala, quando parlava della riqualificazione delle periferie di Milano. Chissà se prima o poi si deciderà a dire se e come quell’idea è cambiata dopo il Covid-19.

Di più su questi argomenti: