(AP Photo/Luca Bruno) 

La moda dà i numeri. Sono brutti ma si combatte

Secondo Confindustria Moda, il settore nella migliore delle ipotesi a fine anno avrà una perdita stimata di circa 29 miliardi di euro. Ma è significativo che la maggior parte degli imprenditori abbia attinto alle proprie risorse per la Cig e che anche questa risulti in calo

Ci sono le eccezioni, ma la seconda ondata e il secondo para-lockdown non ci volevano proprio al comparto della moda che rappresentava la seconda voce nella bilancia dei pagamenti del paese e che, secondo le ultime rilevazioni di Confindustria Moda, nella migliore delle ipotesi a fine anno avrà una perdita stimata di circa 29 miliardi di euro. Ed è andata perfino meglio di quanto ci si aspettasse, perché alla ripresa di settembre tutte le aziende del comparto, in stragrande maggioranza medie e piccole, avevano invertito una tendenza che nel primo trimestre aveva segnato il -36,2 e addirittura il -39 per cento nel secondo. La tendenza negativa ha decelerato, ma non abbastanza.

 

 

Ma è anche vero che l’industria della moda italiana vive di export, molto in Germania e in Francia per la quale produciamo la quasi totalità di abbigliamento e accessori di lusso. Solo un imprenditore su tre, infatti, dichiara un certo dinamismo da parte di Europa e Cina. Le aziende della moda prevedono per il 2020 perdite superiori al 10 per cento. Eppure, è significativo che la maggior parte abbia attinto alle proprie risorse per la Cig e che anche questa risulti in calo. La volontà di invertire le dinamiche si vede da un altro dato: nel terzo trimestre la quota di aziende che ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali si è attestata al 74 per cento, in calo rispetto al 90. Si cerca ancora di fare da soli, ma l’impatto di questa ulteriore stretta sarà fortissimo.

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