un meccanismo infernale

Sindaci indagati, sospesi e poi assolti. I danni della legge Severino

Ermes Antonucci

Numerose sono state nel corso degli anni le vittime della legge Severino, che prevede la sospensione degli amministratori locali per sentenze di condanna non ancora definitive. Così la democrazia è stata compromessa

L’incredibile vicenda che ha visto per protagonista il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà (sospeso dalle sue funzioni in seguito a una condanna in primo grado e in appello per abuso d’ufficio, e poi reintegrato in ruolo dopo due anni in seguito all’assoluzione di fronte alla corte di Cassazione), ha riportato a galla il tema dei danni causati dalla legge Severino, che prevede la sospensione per 18 mesi degli amministratori locali per sentenze di condanna non ancora definitive. Un obbrobrio giuridico che, pur essendo stato salvato dalla Corte costituzionale (in nome della “tutela dell’immagine dell’amministrazione”), ha attribuito di fatto alla magistratura un ulteriore potere di condizionamento sul funzionamento di organi democraticamente eletti, sulla base di sentenze di condanna soltanto provvisorie. 

 

Numerose sono state nel corso degli anni le vittime di questo meccanismo infernale. Nel 2014, ad esempio, il sindaco di Agrigento, Marzo Zambuto, fu condannato a due mesi e venti giorni per abuso d’ufficio. Si dimise immediatamente ancor prima che arrivasse la sospensione dalla carica per effetto della legge Severino. Pochi mesi più tardi venne assolto in appello da tutte le accuse. Tra il 2014 e il 2015 la legge Severino rischiò di decapitare i vertici della regione Campania e della città di Napoli. Il governatore Vincenzo De Luca fu sospeso dalla carica per effetto della legge Severino alla luce di una condanna in primo grado per abuso d’ufficio. Lo stesso avvenne all’allora sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, anche lui condannato in primo grado (per quale reato? Abuso d’ufficio ovviamente). Entrambi riuscirono a “salvarsi” grazie alla decisione dei tribunali di sospendere a loro volta i provvedimenti di sospensione, in attesa che la Corte costituzionale si pronunciasse su eventuali profili di incostituzionalità della legge Severino. Nei mesi successivi, ancor prima che la Consulta si pronunciasse, vennero entrambi assolti in appello, facendo quindi svanire il rischio di una loro rimozione sulla base di accuse poi rivelatesi infondate. 

 

A tanti altri amministratori, con nomi meno noti, non è andata altrettanto bene. Il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, per esempio, è stato sospeso per effetto della legge Severino, a seguito della condanna per abuso d’ufficio per la realizzazione di una casetta della pro loco dopo il terremoto del 2016. La guida della città è passata al vicesindaco. Il sindaco di Avezzano, Giovanni Di Pangrazio, è stato sospeso per un anno e mezzo a causa di una condanna in primo grado per peculato, poi annullata in appello. Al sindaco era stata contestata una spesa di circa 150 euro risalente a otto anni prima. Camillo Rosset, sindaco di Nus, piccolo comune della Valle d’Aosta, è stato sospeso per nove mesi a causa di una condanna per abuso d’ufficio poi ribaltata in appello. 

 

C’è poi chi i 18 mesi di sospensione previsti dalla legge Severino se li è fatti interamente, come il sindaco di Alassio, Marco Melgrati, condannato in primo grado per il caso “spese pazze” in regione. Nel marzo 2021 Melgrati è stato assolto dalle accuse: in altre parole, è stato sospeso per 18 mesi dalla carica di sindaco ingiustamente.  

 

Analogo il destino di numerosi consiglieri regionali condannati in primo grado, sospesi dalla carica e sostituiti dai primi dei non eletti, infine assolti e rispediti in Consiglio regionale al posto dei ripescati. E’ stato il caso, tanto per citarne alcuni, di Antonello Peru in Sardegna, Michele Iorio in Molise, Francesco Cascio in Sicilia (reintegrato all’Assemblea regionale siciliana dopo l’assoluzione in appello, quando però ormai mancavano quattro giorni alla fine della legislatura). Paradossale la storia di Alberico Gambino, eletto al Consiglio regionale campano nel 2010, ma sospeso prima in virtù di una misura cautelare, poi per una condanna in primo grado per scambio politico-mafioso. Dopo sei anni è stato assolto da ogni accusa: su 62 mesi di attività consiliare è rimasto sospeso per 57 mesi.

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