Plenum del CSM (foto La Presse)

L'editoriale del direttore

Contro i pieni poteri del circo mediatico giudiziario

Claudio Cerasa

Il caso del presunto dossieraggio e finti amici della Costituzione. Perché i giornali che giocano con il fango fischiettano sulle oscenità della gogna legalizzata

Le riflessioni che i giornali hanno dedicato in questi giorni al caso dei presunti dosseriaggi che sarebbero stati organizzati da un funzionario della Guardia di Finanza per molti anni in servizio alla Procura nazionale antimafia hanno contribuito a illuminare alcune interessanti dinamiche relative alle follie presenti nel circo mediatico-giudiziario. Due in particolare. La prima dinamica gustosa e orripilante coincide con una tesi assai diffusa all’interno di quei giornali abituati da tempo a speculare sugli schizzi di fango.

 

La tesi è grosso modo questa. Il dossieraggio è una pratica deprecabile, ovvio. Ma questa storia – la storia cioè del finanziere accusato di accedere liberamente al data base della Procura antimafia e capace di usare in modo del tutto discrezionale le informazioni ottenute senza doverne rendere conto a nessuno – è una storia che non va ingigantita. Perché ingigantire questa storia, cari lettori, significherebbe voler fare un passo in avanti per mettere il bavaglio ai giornali e mettere a tacere alcune preziose fonti dei giornalisti.

 

Sintesi estrema: nessuno tocchi il velino (delle procure e della Guardia di finanza). Il ragionamento sofisticato che si trova dietro questa tesi, esposta con modalità diverse da numerosi giornali, da Repubblica al Fatto passando per il Domani e la Verità, è che il compito dell’autorità giudiziaria non sia solo quello di far emergere il malaffare, ovvero i possibili reati, ma anche quello di svolgere un ruolo etico, dando un proprio contributo per portare all’attenzione del grande pubblico i peccati dei potenti.

 

Può sembrare un dettaglio ma è un punto cruciale. E’ un fatto che molti giornalisti insieme con una parte rilevante della magistratura considerino le indagini della magistratura strumenti utili non solo per scoprire reati ma soprattutto per illuminare il malcostume morale e le malefatte latamente intese del potere. Ed è un fatto che queste categorie professionali facciano di tutto per spacciare il diritto allo sputtanamento per diritto di cronaca, facendo finta di non capire che avere organi dell’autorità giudiziaria che agiscono indisturbati non rappresenta una grande opportunità per la libertà di stampa (quello che conta è ciò che emerge dalle indagini a prescindere dal suo rilievo penale, ha sostenuto Gianni Barbacetto, firma del Fatto) ma rappresenta al contrario una clamorosa ferita per la democrazia (i magistrati non dovrebbero occuparsi di etica, ma di reati, e i magistrati che si occupano di etica, e di peccati, sono magistrati che hanno deciso di far fare all’Italia un passo in avanti verso lo stato etico). “Nel nostro paese – ha scritto sul Foglio il professor Giovanni Fiandaca – i princìpi del costituzionalismo penale (cioè dell’equilibrio tra contrasto alla criminalità e protezione dei diritti individuali) non sono mai diventati cultura dominante. Non solo tra i giornalisti, e quantomeno presso la parte più combattente della magistratura, ma anche tra i cittadini comuni: per cui nella sfera pubblica non si è mai capito quale gravissimo rischio corrano nel nostro paese le libertà individuali in nome di una presunta lotta al crimine, che in realtà è libertinaggio sgretolato. Bisognerebbe discutere pubblicamente dei criteri e metodi di lavoro anche delle strutture speciali, giudiziarie e di polizia che operano in maniera autoreferenziale e coperta senza alcuna forma di controllo o responsabilità esterna”.  

 

Accanto a questo tema ve n’è poi un altro più complicato ma altrettanto importante ed è quello che i giornalisti pistaroli fingono di non capire. Ossia: i veri nemici degli inquirenti, a volte, sono proprio i giornalisti che fingono di volerli difendere. I giornalisti più “ammanettati” con le procure chiacchierone e i funzionari infedeli sostengono che non sia necessario essere troppo rigidi o troppo moralisti di fronte a magistrati o a finanzieri desiderosi, come dei novelli Edward Snowden, di usare tutti i loro poteri per cercare reati e far emergere la verità: il fine, la ricerca dei furfanti, giustifica i mezzi, ovvero l’intromissione nella vita degli altri. Se così fosse, però, sarebbero proprio i giornalisti, pubblicando ogni schifezza priva di rilievo penale, a delegittimare l’attività indiziaria (il problema dell’intromissione abusiva nelle vite degli altri è l’utilizzo improprio di quelle attività, non l’attività stessa). E sono ancora loro che, così facendo, illuminano involontariamente la patologia di un paese che considera la violazione della privacy di un potente non indagato come un atto necessario per promuovere la giustizia sociale, considerando un diritto inalienabile di una democrazia avere magistrati in grado di usare le indagini anche per far emergere la Verità, con la V maiuscola.

 

Ed è anche per questo motivo che in queste ore molti giornali abituati a trasformare le indagini in un grande sabba utile per avventarsi contro il potere sono lì che nicchiano (un conto è avventarsi sulle indagini di un magistrato per attaccare la sempre più innocua e vulnerabile casta della politica, un altro conto è usare le indagini di un magistrato per mostrare gli ingranaggi perversi del circo mediatico: impossibile farlo, sennò poi chi ci darà la prossima notizia, la prossima velina). Ed è per questo motivo che diversi giornali stanno cercando di demonizzare (ah, il bavaglio!) chi si azzarda a ricordare che i meccanismi classici del mascariamento sono un problema democratico (se l’acquisizione di dati è illimitata e incontrollata, tutti possono essere spiati, anche il capo dello stato e quello del governo, qui entra in gioco l’assetto democratico).

 

Il tutto è poi aggravato da un elemento in più che illumina un altro lato patologico del rapporto perverso che esiste tra giornali e procure (ed eventuali finanzieri senza scrupoli). Un tempo erano le indagini a influenzare l’opinione pubblica. Oggi è l’opinione pubblica a influenzare le indagini. E non ci vuole molto a capire quanto possa essere pericoloso vivere in un paese in cui il sistema giudiziario consideri lecito occuparsi di verità più che di reati (è il modello della teocrazia iraniana) e in cui le procure si attivino anche per rispondere alle pressione dell’opinione pubblica (è il modello della giustizia degli applausi). I giornali che campano con il fango fischiettano di fronte alla possibilità di mettere in mostra gli ingranaggi della macchina del fango. I giornali che provano a denunciare ogni giorno i meccanismi della melma giudiziaria non possono invece non ricordare ai propri lettori cosa rischi un paese che scelga di essere indifferente di fronte al tentativo quotidiano di abolire il diritto alla privacy per sostituirlo con il diritto allo sputtanamento.

 

Un paese che in buona sostanza sceglie sistematicamente di concedere agli ayatollah delle procure di cancellare un articolo della Costituzione: “Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesione del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto a essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni”. E se sentite poche parole su questo tema dai difensori della Costituzione non è perché sono in vacanza ad agosto. E’ perché da tempo tra difendere i pieni poteri del circo mediatico-giudiziario e difendere le prerogative della Costituzione hanno già fatto la loro triste scelta. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.