Carlo Nordio (Ansa)

indegne campagne populiste 

Repubblica accusa Nordio di “rancore” verso i pm, ma i numeri parlano di un odio giustizialista: il loro

Maurizio Crippa

Il giornale attacca il ministro per la riforma. Ma solo lo scorso anno si sono registrati 547 casi complessivi tra errori giudiziari e ingiuste detenzioni. Mentre i n trent’anni, tra il 1991 e il 2022, i casi delle due (non sovrapponibili) categorie sono stati 30 mila, e di 932 milioni di euro, quasi 30 milioni l’anno, il danno erariale per i risarcimenti

"Siamo davvero al tafazzismo”, per attenerci alla prosa pop da social di Claudio Tito. Repubblica ha titolato “Il Guardasigilli del rancore” una sua analisi, ansiosa di dimostrare quanto il governo sbagli con la riforma Nordio. Che sarebbe animata, addirittura, da “rancore” verso i magistrati. Ecco un po’ di numeri, tremendi, che dimostrano il contrario. E che invece sollevano domande sull’assurdo rancore di Repubblica contro le vittime innocenti. 


Scrive Claudio Tito nell’edizione della scorsa domenica che con la riforma il governo Meloni non soltanto tradirebbe le cose migliori d’Italia, con il suo proposito di “cancellare l’abuso d’ufficio e il traffico di influenze” (nota per disinformati: il traffico di influenze – per quanto fattispecie confusa e di pessima formulazione – non viene abolito, ma ridimensionato a “condotte particolarmente gravi eliminando l’ipotesi di millantato credito”). Ma ancora di più Tito, addentrandosi con sprezzo del pericolo nella psicologia criminale, riesce a formulare l’idea balzana secondo cui il ministro della Giustizia sarebbe “così animato da rancore e da un senso di rivincita nei confronti dei suoi ex colleghi da perdere completamente il contatto con la realtà”. Per provare a riportare a contatto con la realtà almeno Repubblica, ecco un po’ di numeri che dimostrano come sia invece la loro visione panpenalista e pangiustizialista, da decenni, a nutrire un rancore malato e difficilmente spiegabile contro le migliaia di vittime innocenti finite nella rete di reati bizzarri e di magistrati improvvidi.

 

Si tralascerà che solo nel 2022 si sono registrati 547 casi complessivi tra errori giudiziari e ingiuste detenzioni, e che in trent’anni, tra il 1991 e il  2022, i casi delle due (non sovrapponibili) categorie siano stati 30 mila, e di 932 milioni di euro, quasi 30 milioni l’anno, il danno erariale per i risarcimenti: gli ultimi spiccioli dei quali sono stati riconosciuti all’eroe antimafia Bruno Contrada. Tralasciando questo background che dovrebbe da solo sconsigliare Tito dall’avventurarsi in affermazioni come “l’Italia viene considerata in grado di giocare la Champions League” in fatto di giustizia, ci si limiterà – per stare ai temi della riforma – a ricordare che in Italia nel solo 2021 “su 5.400 procedimenti, nove si sono conclusi con condanne davanti al gip e diciotto in dibattimento”, come ha ricordato Nordio in Parlamento. Tutto il resto è svanito nell’insussistenza del nulla di fatto. Giusto per la memoria, tra i pubblici amministratori che hanno subìto inchieste o processi per abuso d’ufficio ci sono l’ex governatore della Calabria Mario Oliverio, Virginia Raggi, Chiara Appendino, il governatore della Lombardia Attilio Fontana. Tutti assolti dopo aver subìto, oltre all’ingiusta accusa, il rancore sociale e dei media. Le assoluzioni e i proscioglimenti sono oltre il 90 per cento. A questi si potrebbero aggiungere gli infiniti casi di “colletti bianchi”, quasi sempre senza nessuna necessità di carcerazione preventiva, che hanno subìto ingiuste detenzioni. Processi terminati con piene assoluzioni.

 

Questi sono i numeri di una giustizia ingiusta e bisognosa di riforma. Eppure Claudio Tito, autorevole firma di un giornale che conduceva campagne illiberali al grido “intercettateci tutti”, il giornale che nella sua trentennale battaglia giustizialista contro Berlusconi (dal magro esito, come ognun sa) lanciava campagne populiste come “le dieci domande”, il giornale che ha sostenuto il giustizialismo spesso anche oltre il terzo grado di giudizio – vedi i commenti sulle sentenze di Cassazione che hanno demolito molti processi della cosiddetta antimafia – ecco, Tito riesce a inventarsi un “rancore” da parte del ministro Nordio. Come non bastasse l’azzardo di sostenere, visti i numeri citati, che la normativa anticorruzione del nostro paese “per la sua storia anche nella lotta alla criminalità organizzata e per le vicende cui abbiamo assistito da Mani pulite in poi, è considerata un’avanguardia”. Come se non bastasse, Tito discetta anche sui “toni scelti” che “fanno ben capire che c’è poco di razionale in queste scelte. La finalità politica evapora. E’ più un desiderio di vendetta che dovrebbe mettere in imbarazzo una coalizione dominata da due partiti, Fratelli d’Italia e Lega, che hanno costruito larga parte dei loro successi su un certo giustizialismo tribale”.

 

Giustizialismo tribale, appunto. Cioè l’unica cosa davvero inemendabile e oscena: il sordo rancore dei giustizialisti di Repubblica contro le migliaia di vittime innocenti di reati vaghi, usati spesso per campagne politiche, e di fattispecie di reati persino imbarazzanti nella formulazione. Più che del rancore di Nordio, bisognerebbe parlare della vergogna di Rep. O meglio, come direbbe Claudio Tito che ama la lingua pop dei social: molto cringe. 

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"