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l'intervista

Sacrosanto abrogare l'abuso d'ufficio. Parla Bertinotti

Annalisa Chirico

Il pericolo Meloni non è una deriva autoritaria. Sinistra assente: “Torni al garantismo, e non lasci alla destra le battaglie sulla giustizia” 

"L’abrogazione dell’abuso d’ufficio? Sacrosanta, si ascoltino i sindaci. Meloni fascista? Non scherziamo, la premier è afascista”, un Fausto Bertinotti inedito risponde al Foglio e ragiona di politica come solo un ex presidente della Camera, già segretario di Rifondazione comunista, può fare. “Con Meloni non vedo il pericolo di una deriva fascista né autoritaria, vedo piuttosto il tentativo di espansione e controllo, questo sì totalitario, di tutti i gangli vitali della società. Come se, tra un’elezione e l’altra, la democrazia si sospendesse. Il centrodestra a guida Meloni ha tre teste: una liberal-draghiana, una corporativa, una illiberale. Ma il suo governo non deve fare paura”. 

 

Lei si è detto d’accordo con il provvedimento Meloni-Nordio che prevede il superamento dell’abuso d’ufficio.

“L’etichettatura che rinvia a premier e Guardasigilli conferma che il dibattito è segnato dal predominio degli schieramenti. Io ritengo che sia un bene abrogare l’abuso d’ufficio, su questa materia andrebbero ascoltati i sindaci, a partire dai vertici dell’Anci. La sinistra avrebbe dovuto abrogarlo da tempo senza aspettare che a farlo fosse un governo di destra.  La sinistra dovrebbe recuperare l’antica propensione garantista che ha caratterizzato l’intera storia del movimento operaio, come testimoniano le riflessioni di personalità illustri, da Umberto Terracini fino a Emanuele Macaluso in tempi più recenti”.

 

Insomma, la sinistra era garantista e oggi non lo è più.

“A Torino la magistratura si schierava più spesso dalla parte della Fiat che degli operai, in Sicilia non riusciva ad assicurare alla giustizia i colpevoli degli assassinii di decine di sindacalisti. A sinistra esiste un problema di cultura politica: l’abbandono o la messa in sospensione del garantismo è una delle molte ragioni per cui la sinistra è venuta meno alla promessa di cambiamento della società rispetto ai diritti delle persone”. 

 

Nella rinuncia al garantismo quanto ha inciso il fattore B, inteso come “Berlusconi”?

“Moltissimo. Lo si vede persino in morte. La scia rischia di influenzare persino la discussione su questi provvedimenti di legge, come se da una parte insistesse l’ombra di Berlusconi e dall’altra parte l’antiberlusconismo. Sono due fenomeni inquinanti, è necessario liberarsi da questa prigionia mentale. La riforma Meloni-Nordio è un’occasione per far valere un’ipotesi garantista: si rinunci allo spirito di crociata e si aboliscano gli impedimenti al lavoro ordinario degli amministratori. Ripeto: in primo piano va messa l’istanza manifestata dai sindaci di ogni colore”.

 

Il provvedimento, approvato in Cdm, contempla anche una stretta sulle intercettazioni.

“Sacrosanto. Oggi più che ieri abbiamo bisogno di un giornalismo di inchiesta in grado di intervenire su nuovi e vecchi potentati ma esso non può diventare la longa manus delle procure, non può avvalersi come strumento ordinario e prioritario delle carte e delle informazioni raccolte da pm e polizia giudiziaria. L’uso così diffusivo delle intercettazioni è la spia di una malattia. Le captazioni telefoniche sono uno strumento esterno all’attività giornalistica, uno strumento fuori dal controllo del giornalista e fuori dal controllo di tutti. Il parlato, com’è noto, è altamente manipolabile”. 

 

La scomparsa di Silvio Berlusconi renderà la sinistra più garantista?

“Temo di no, il mio non è pessimismo ma le ragioni profonde vanno trovate dentro la propria cultura. E’ stato un errore farsi dettare, per anni, la postura politica dall’antiberlusconismo. E’ impossibile che la spinta in senso contrario provenga dall’esterno. E’ necessario recuperare una cultura politica autentica attraverso il confronto delle idee, attivando una riflessione anche sulle forme di alienazione indotte dal capitalismo. Serve una critica di fondo alla società contemporanea”.

 

Su questo il Pd di Elly Schlein pare somigliarle.

“Non credo, la discussione sulle leadership è fuorviante. Si ritiene, sbagliando, che la politica possa fare a meno di impianti teorici, esperienze sociali collettive, propensioni strategiche, si ritiene che basti il leader. La discussione su Schlein è la prova di questo fraintendimento: anziché ragionare sull’infinitamente grande, si bada all’infinitamente piccolo”. 

 

Insomma, prima le idee.

“Come per la socialdemocrazia tedesca con la svolta di Bad Godesberg, così ogni trasformazione politica deve partire dall’ideologia. Nel ’94 Berlusconi vince perché ha il vento in poppa dell’ideologia dominante, quella edonistica e privatistica degli anni Ottanta”. 

 

Vale anche per la destra di Meloni?

“Oggi Meloni vince anzitutto per l’assenza della sinistra e per la crisi acuta della democrazia che si traduce in un elevato tasso di astensione. Anche questo governo, in fondo, è stato votato da una minoranza di italiani”. 

 

Sulle idee, però, sembra più in sintonia con il popolo.

“Infatti la sinistra non dovrebbe lasciare alla destra una battaglia giusta come quella contro l’abuso d’ufficio, contro la gogna mediatica, per un ricorso limitato della custodia cautelare che ancora oggi viene applicata con lo scopo di estorcere confessioni. Sono misure a favore delle garanzie costituzionali della persona, non di chi trasgredisce”.