L'ex giudice Francesco Bellomo (ANSA)  

editoriali

Il caso Bellomo e la differenza tra giustizia e morale

Redazione

L’ex giudice del Consiglio di Stato è stato prosciolto dalle accuse di stalking e violenza privata per la vicenda del dress code imposto alle allieve. Appunti per la gogna mediatico-giudiziaria

Il giudice dell’udienza preliminare di Bergamo ha prosciolto l’ex giudice del Consiglio di Stato, Francesco Bellomo, dalle accuse di stalking e violenza privata nei confronti di tre borsiste della scuola per magistrati “Diritto e scienza”. Bellomo era finito agli arresti domiciliari nel luglio 2019, nell’ambito di un’inchiesta della procura di Bari, che ipotizzava una serie di maltrattamenti da parte del magistrato nei confronti delle sue allieve (con alcune delle quali aveva anche avuto relazioni sentimentali). Bellomo era infatti solito chiedere alle aspiranti magistrate che si iscrivevano ai suoi corsi di rispettare un rigido codice di comportamento e un preciso dress code: tacchi alti, minigonne, abiti eleganti e assolutamente niente jeans e ballerine. I pm accusavano Bellomo anche di essere arrivato a controllare la vita privata di alcune delle allieve, le loro frequentazioni e i loro social.

  

La vicenda conquistò per giorni l’attenzione, a tratti morbosa, dei principali organi di informazione.

 

A distanza di oltre tre anni, il tribunale di Bergamo, dove il procedimento è stato trasferito per competenza territoriale, ha prosciolto Bellomo con la formula “perché il fatto non sussiste”, accogliendo le tesi degli avvocati Gianluca D’Oria e Beniamino Migliucci.

  

Per un quarto capo di imputazione, relativo a una presunta violenza privata nei confronti di un’altra allieva, il giudice ha stabilito la riqualificazione del reato in tentata violenza e l’invio degli atti alla procura di Massa Carrara, competente per territorio. In precedenza, altri filoni relativi alla vicenda si sono chiusi a Piacenza e a Milano con l’assoluzione dello stesso Bellomo.

 

Insomma, si può sostenere che Bellomo abbia tenuto comportamenti moralmente deprecabili (che tra l’altro gli sono costati la destituzione dalla magistratura amministrativa), ma un conto sono le condotte moralmente discutibili, un altro i reati. Una distinzione banale, ma che nel paese della gogna mediatico-giudiziaria, è sempre meglio ricordare.

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