Alla taverna, Johann Michael Neder, 1833

L'incubo che anche solo la probabilità di una molestia possa diventare reato

Maurizio Crippa

Il dress code di Bellomo e il bacio a Riina. Passando da Cambridge

Dunque le “telefonate seriali” e le “modalità di persuasione talvolta incalzanti” sono “inconferenti”, se si tratta dei rapporti tra un sedicente professore e le sue allieve. Le insistenti “telefonate in tarda serata e invio di email” sono parimenti censurabili, ma “non può ritenersi che le stesse valgano a integrare una condotta abituale di molestia e minaccia”. Nemmeno quando riguardano il dress code richiesto alle allieve medesime. È tutto molto deprimente, persino infimo, ma “non si ravvisano condotte rilevanti sul piano penale”. Ché ci sono i reati e poi c’è la sexual misconduct, la cattiva condotta in tema di relazioni tra i sessi. Un giorno diventerà reato anche in Italia, ma per ora no. Ci siamo un poco divertiti ieri, a proposito dell’ex consigliere di stato Francesco Bellomo – feticista del diritto, molto soggettivo, a far indossare alle ragazze tacchi alti e gonne corte – per via dell’archiviazione firmata dal gip di Milano, Guido Salvini, del procedimento contro di lui intentato: “Non si ravvisano condotte rilevanti sul piano penale”. E a parte Liana Milella su Rep., lesta a segnalare altri due processi che vanno invece avanti (se c’è una archiviazione, per Liana Milella è sempre solo “la prima”), chissà dov’era il resto del popolo senonoraquandista. Forse era distratto, o forse erano tutti in gita a Narni. Storiella picaresco-giudiziaria a parte, il tema del divertimento stava in altro. Dato per scontato, se non altro per paradosso geografico, che in Italia ci sia un giudice a Berlino, fa piacere scoprire che almeno un gip che conosce il dress code ogni tanto lo si trova. E che conosce la forma della legge.

  

Perché il problema più serio è appunto quello delle regole. Ieri il Guardian, nelle Opinion, ha dato una rispolverata a un caso di scuola (anzi di università) che da alcuni mesi agita la Gran Bretagna sul fronte dei diritti e della guerra dei sessi. Danielle Bradford, ex studentessa della Cambridge University, una delle donne che aveva accusato un professore oggi emerito, Peter Hutchinson, per harassment, ha commentato negativamente un cambiamento introdotto a inizio ottobre nel sistema giudiziario interno, diciamo così, dell’ateneo: le Student Disciplinary Procedures. Un cambiamento che le precluderebbe di ottenere giustizia. Bradford, come altri interpellati dal giornale studentesco di Cambridge, Varsity, insiste su un punto. L’università, modificando le Student Disciplinary Procedures, ha separato l’harassment dalla sexual misconduct, il che equivarrebbe a derubricare i comportamenti sbagliati. C’è dibattito. I favorevoli alla separazione tra le due fattispecie, oltre a farne una questione di concetti, insistono che una misconduct è molto più difficile da perimetrare e perseguire, tanto più all’interno del sistema dei college. E con questo si torna dalle parti del dress code di Bellomo: dove inizia il reato?

  

Ma la cosa più interessante, e probabilmente pericolosa, nella autoriforma del codice di procedura disciplinare di Cambridge è che cambierà il modello inquisitorio: il burden of proof, l’onere della prova, passerà dagli standard del diritto penale a quelli del diritto civile inglesi. In pratica, da una procedura accusatoria in cui la condanna può essere emessa solo oltrepassato ogni ragionevole dubbio di colpevolezza, a un sistema civilistico chiamato “balance of probabilities”, uno “standard di prove” che permetta al giudice di stabilire che un certo fatto è “probabilmente accaduto”. E anche qui ci sono i pro e contrari, ma garantisti pochi.

   

Ma lasciando il dibattito procedurale a Cambridge e alla Common law, e trasferendolo per ipotesi al caso italico di Bellomo, viene da pensare che una giustizia che si eserciti in base alla probabilità che qualcosa sia stato commesso è un passo in più verso il delirio giudiziario. Se dal dress code di concorsande in cerca di rassicurazioni passiamo alle cose serie, si potrebbe dire che applicando le nuove Disciplinary Procedures di Cambridge ai misteri italiani, Andreotti sarebbe stato condannato: perché il bacio a Riina c’è possibilità che l’avesse dato, e conoscendo il tipo fu sicuramente una molestia. E oggi sarebbe contento anche Giancarlo Caselli.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"