Referendum giustizia 2022: guida ai cinque quesiti

Ermes Antonucci

Domenica 12 giugno si voterà per il referendum sulla giustizia, promosso da Partito radicale e Lega. Il referendum si compone di cinque quesiti abrogativi. In questo approfondimento spieghiamo, con parole semplici e senza tecnicismi, il contenuto dei quesiti e l’impatto che avrebbero sul sistema giudiziario

Il quesito abroga il decreto legislativo n. 235/2012 (la cosiddetta legge Severino), che disciplina i casi di incandidabilità, sospensione e decadenza dei politici dalle cariche elettive. L’obiettivo è quello di abrogare le norme che prevedono la sospensione degli amministratori locali, come presidenti di regione o sindaci, in seguito a sentenze di condanna anche soltanto di primo grado per alcuni reati gravi (come associazione mafiosa o reati contro la pubblica amministrazione). Si tratta norme paradossali, visto che secondo la nostra Costituzione (articolo 27) i cittadini sono innocenti fino a sentenza definitiva, eppure in passato queste norme hanno portato in diversi casi alla sospensione di amministratori locali in virtù di condanne soltanto di primo grado, poi annullate nei successivi gradi di giudizio, quando ormai il danno, dal punto di vista del funzionamento delle istituzioni democratiche, era stato compiuto. Un elemento, tuttavia, va evidenziato: il quesito prevede l’abolizione dell’intera legge Severino, quindi anche delle parti che stabiliscono l’incandidabilità dei politici che sono stati condannati in via definitiva per gravi reati.

Si tratta del quesito più complesso dal punto di vista tecnico. Esso mira a limitare i casi di applicazione delle misure cautelari (come carcerazione preventiva, arresti domiciliari, divieto di dimora ecc.). Secondo la normativa attuale il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può emettere una misura cautelare in tre casi: pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di fuga e pericolo di reiterazione del reato. Il quesito interviene su quest’ultimo aspetto. In breve, se il quesito venisse approvato sarebbe possibile procedere alla privazione della libertà per il rischio di “reiterazione del medesimo reato” solo per i delitti di criminalità organizzata, di eversione o per i reati commessi con uso di armi o altri mezzi di violenza personale. L’intento è nobile, soprattutto se si considera l’alto numero di cittadini incarcerati e privati della libertà prima del giudizio, e poi spesso prosciolti dalle accuse. Dall’altro lato, ad opinione di alcuni esperti, l’abrogazione della norma rischia di rendere le misure cautelari inapplicabili per una serie di delitti particolarmente sentiti a livello sociale, come il furto, la rapina e anche in alcuni casi di stalking, quando compiuti senza armi e senza mezzi di violenza personale.

Attualmente la normativa prevede che un magistrato possa passare nel corso della sua carriera dalla funzione di pubblico ministero, cioè di accusatore, a quello di giudice per un massimo di quattro volte. Il quesito mira ad azzerare queste possibilità: il magistrato dovrebbe scegliere all’inizio della carriera la propria funzione, requirente o giudicante, senza possibilità di cambiarla in seguito. L’approvazione del quesito avrebbe un effetto molto importante sul rafforzamento della terzietà e dell’imparzialità del giudice, che “nascerebbe” come giudice, senza avere alle spalle un passato da pubblico ministero e da accusatore. C’è da precisare che non siamo di fronte a una separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici (per questo occorrerebbe un intervento a livello costituzionale): pm e giudici continuerebbero a essere reclutati attraverso il medesimo concorso, a rispondere al medesimo Consiglio superiore della magistratura e a seguire la medesima scuola di formazione. L’approvazione del quesito avrebbe un impatto significativo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm attualmente in esame in Parlamento. Quest’ultima prevede infatti la riduzione da quattro a uno della possibilità di passare di funzione (non un azzeramento). Di conseguenza, in caso di vittoria del “sì”, il testo andrebbe adeguato alla luce dell’esito del referendum.

Oggi i magistrati vengono valutati dai consigli giudiziari e soltanto dai propri colleghi magistrati (il Csm si limita a prendere atto dei pareri espressi dai consigli giudiziari). Il risultato di questa situazione è che oltre il 99% dei magistrati ottiene valutazioni di professionalità altamente positive e piene di frasi entusiastiche e laudative: in sostanza, la valutazione di professionalità delle toghe non esiste. Il quesito mira a rendere più equa la procedura di valutazione, permettendo anche ai rappresentanti dell’avvocatura e ai docenti universitari di partecipare nei consigli giudiziari alle discussioni e alle votazioni riguardanti le valutazioni professionali dei magistrati. Il testo di riforma dell’ordinamento giudiziario in discussione in Parlamento apre le procedure di valutazione dei magistrati alla partecipazione degli avvocati, ma non dei professori universitari. Di conseguenza, anche in questo caso, di fronte a una vittoria del “sì”, il testo andrebbe modificato venendo incontro alla volontà espressa dai cittadini con il referendum.

Il quesito prevede l’abrogazione di alcune norme che regolano l’elezione del Consiglio superiore della magistratura, organo di governo autonomo delle toghe. In particolare, il quesito abroga l’obbligo per un magistrato di raccogliere almeno 25 firme per presentare la propria candidatura al Csm. L’intento è quello di limitare il potere e il condizionamento delle correnti togate, finite nell’occhio del ciclone soprattutto dopo lo scandalo Palamara. C’è da dire, in realtà, che si è di fronte a un intervento piuttosto minimale, se si considera che raccogliere 25 firme non rappresenta una sfida così ardua per il magistrato e che le correnti fanno sentire il loro peso soprattutto nella fase successiva, cioè quando i candidati si ritrovano a dover raccogliere centinaia di voti necessari per essere eletti. L’approvazione del quesito avrebbe comunque un impatto positivo, soprattutto sul piano simbolico e politico. Il quesito sarebbe superato dall’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario in discussione in Parlamento, che già prevede l’eliminazione dell’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle candidature dei magistrati alle elezioni del Csm.